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Popolazione yemenita in attesa di cibo Popolazione yemenita in attesa di cibo 

Yemen, Hinder: si fermino guerra e commercio delle armi

La popolazione nello Yemen vive oggi anche il dramma della pandemia, con tutte le incertezze e le paure per il domani che porta con sé. Oltre questo ci sono guerra e fame. Il vicario apostolico dell’Arabia meridionale torna ai nostri microfoni sulle parole del Papa nei giorni di Pasqua e rimarca le sfide che nella sua regione affrontano i cristiani

Gabriella Ceraso  e Michele Raviart - Città del Vaticano

Lo Yemen rischia il crollo sanitario con l'arrivo della pandemia in un sistema già devastato da cinque anni di guerra. Finora un solo caso di coronavirus è stato confermato nel Paese ma il governo riconosciuto internazionalmente esprime tutta la sua preoccupazione per lo stato di profonda povertà e per la scarsità d'acqua che rende il Paese 'terreno fertile' per le malattie.

Instabile il cessate il fuoco per motivi umanitari siglato nei giorni scorsi tra la coalizione a guida saudita e i ribelli houti sostenuti dall'Iran. Se tenesse, potrebbe mettere fine ad un conflitto che ha causato oltre 100mila morti e 24 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria e in parte sull'orlo della fame. Anche lo Yemen come la Siria è sempre nel cuore del Papa, che nel  lo ha incluso nelle aree del mondo per le quali invocare la pace, la cura e la tutela della vita, mettendo al bando interessi economici, profitti dal traffico delle armi, indifferenza, dimenticanza. Il rischio, ha ribadito il Pontefice, in una situazione come quella che stiamo vivendo è di abbandonare tante altre emergenze che invece portano con sé i patimenti di numerose persone. Ne abbiamo parlato con monsignor Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale:

Ascolta l'intervista a monsignor Hinder

R. - La situazione dello Yemen rimane più che problematica. Prima di tutto è un Paese veramente giù a causa della guerra e ora c'è la minaccia della pandemia che già ha causato i primi segni anche nello Yemen e non si sa come evolverà. Allora in questa situazione mi sembra più che urgente che la guerra si fermi o almeno che ci sia un cessate il fuoco, perché se non sarà possibile realizzarlo, il problema andrà aggravandosi.

Il Papa, nel messaggio Urbi et Orbi e non solo, molto esplicitamente ha denunciato l'attenzione alle spese per le armi e non per la cura delle vite. Ha detto: "Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi". Lo Yemen è un caso esemplare…

R. - L'ho sempre detto anche io e l'ho menzionato più di una volta anche al Santo Padre. È chiaro che c'è un problema reale nel traffico d'armi perché dietro ci sono degli interessi, ci sono persone che non hanno interesse che la guerra si fermi. Le nostre voci hanno una certa forza morale e dunque non abbiamo paura di appellarci alla fine della guerra: il nostro è un appello alla coscienza delle persone che hanno la possibilità di prendere le decisioni, affinché si aprano a questa realtà e che non guardino soltanto al profitto economico. Mi sembra molto pericoloso per tutti in tempo di pandemia che l'aspetto economico prevalga sull'aspetto umano di salvaguardare vite, aspetto troppo o del tutto dimenticato.

Il Papa ha chiesto chiaramente ai governanti, in questo contesto, di trovare la strada giusta e ai cristiani di restare uniti e fedeli a Cristo che mai ci lascia soli: come vivere allora questo tempo e come guardare al futuro?

R. - Nessuno di noi sa cosa sarà domani. Non conosciamo il futuro della pandemia né il futuro dello sviluppo politico e economico. Però io porto in me, e cerco di comunicarla agli altri, la luce della speranza che il Cristo Risorto ci ha dato: non avere paura del domani, anche se non sappiamo come sarà. È la realtà che abbiamo celebrato in questi giorni di Pasqua, in particolare il Venerdì Santo. Il Venerdì Santo non ci è risparmiato: non possiamo andare direttamente alla Pasqua. Ciascuno a modo suo deve passare il Venerdì Santo e il Sabato Santo e poi, e questa è la fede e la speranza, ci sarà una Pasqua e qualche volta, e su questo bisogna essere chiari, questo passaggio dura molto più di tre giorni. È questo il messaggio che cerco di dare anche alla mia gente: qui loro stanno aspettando con ansia il domani e mi chiedono cosa sarà dopo la pandemia, cosa faremo, se perderemo il lavoro, come faremo con le nostre famiglie... Sono queste le domande di tante persone e non solo nello Yemen che comunque resta un luogo molto problematico.

In generale secondo lei, monsignor Hinder, cosa ci può insegnare questo tempo?

R.  - Non posso che ripetere le fortissime  che mi sono tanto piaciute : "Non è questo il tempo delle divisioni. Cristo nostra pace illumini quanti hanno responsabilità nei conflitti, perché abbiano il coraggio di aderire all’appello per un cessate il fuoco globale". Ripeto dunque questo appello per tutta la mia regione: è chiaro che noi non abbiamo potere reale di intervento, ma siamo strumenti di testimonianza di una realtà radicata in un altro mondo cioè nel Cristo Risorto. E non è sempre facile far capire ad un mondo sempre più secolarizzato questo messaggio radicato nell'al di là.

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14 aprile 2020, 10:06