Battah: a Damasco sicurezza migliorata, il Natale porti la pace in Siria
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Altri 600 profughi siriani sono stati trasferiti dalle autorità turche nel nord-est della Siria. La zona è stata al centro nel mese di ottobre dell'operazione militare di Ankara contro le milizie curde, seguita da un’intesa sullo stop ai bombardamenti negoziata da Stati Uniti e Russia. E ora è sotto il controllo di Ankara e dei ribelli che sostengono la Turchia.
I rientri dalla Turchia
Diverse ong hanno accusato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha sempre parlato di rientri “volontari” da parte dei profughi siriani riparati in Turchia, di puntare a creare una zona di sicurezza nell’area frontaliera e di procedere a rimpatri forzati. Ieri Human Rights Watch ha denunciato “esecuzioni sommarie” ed “espropriazioni” effettuate proprio nella zona controllata dai turchi.
La Siria nord-occidentale
Raid aerei russi e governativi siriani sono stati intanto segnalati ad inizio settimana nella Siria nord-occidentale, in un territorio fuori dal controllo delle autorità di Damasco e dove operano miliziani anti-regime, tra cui affiliati a gruppi qaidisti.
La situazione a Damasco
A Damasco città, invece, “la situazione dal punto di vista della sicurezza” appare “migliorata”, spiega a Pope monsignor Youhanna Jihad Battah, arcivescovo siro cattolico della capitale siriana, in questi giorni a Roma, dove ieri all’udienza generale in Piazza San Pietro ha potuto salutare Papa Francesco (Ascolta l'intervista all'arcivescovo Battah).
R. – A Damasco non ci sono più bombardamenti contro i civili. Durante la guerra è sempre accaduto che lanciassero missili, la gente aveva paura, mancava l’elettricità, mancavano tante cose. Oggi la situazione dal punto di vista della sicurezza è migliorata, ma mancano le medicine, la vita costa molto, la gente non ha soldi. Grazie al progetto (Ospedali aperti, ndr) voluto dal nunzio apostolico, il cardinale Mario Zenari, i poveri e quelli che non possono permettersi di pagare hanno avuto la possibilità di essere operati e assistiti in due ospedali della capitale, quello francese e quello italiano.
Nel resto del Paese, come si vive? Nel nord-est, dopo i bombardamenti turchi, c’è una zona ora sotto controllo di Ankara e dei ribelli che sostengono la Turchia. Qual è la situazione, dalle notizie che potete avere?
R. – Il Patriarca ha nominato un vicario patriarcale nel nord della Siria, a Jazeera: si tratta del padre libanese Joseph Chamii, che io ho incontrato. L’esercito siriano è entrato nella zona. C’è un po’ di collaborazione con i curdi.
Poi ci sono gli americani, i turchi, i russi. È una zona calda, per questo non è facile. La gente ha perso tanto, sono state distrutte chiese, abbiamo perso un giovane prete armeno-cattolico. La situazione diciamo che va avanti…
C’è il problema degli sfollati, di chi si era rifugiato in Turchia e che adesso sta tornando: la Turchia punta a far rientrare queste persone?
R. – Il problema della Turchia, secondo me, è che ci sono i rifugiati. Dove mettono questi rifugiati siriani? Alcuni veramente sono scappati perché avevano paura, ma c’era anche un progetto per farli andare via, per poi dire che l’esercito siriano fa uscire la gente dal Paese. Quello che succede in Siria è una guerra contro la Siria.
Cosa intende con un “progetto”?
R. – Il progetto è che hanno fatto uscire questa gente, adesso il problema è farla tornare. C’è chi dice che la Siria, che il governo non voglia queste persone. Dobbiamo dire che ci sono chiavi: possiamo dire che la grande chiave è da noi, da noi siriani. Ma le altre chiavi non le abbiamo noi: le hanno la Turchia, l’America, la Russia. Noi dobbiamo aiutare la gente a tornare, perché ne abbiamo bisogno: abbiamo bisogno di operai, di lavoratori in genere, di tutti. Io, come vescovo, posso essere come un punto di pace tra il governo e la comunità internazionale.
Tra quanti hanno lasciato la Siria ci sono anche tanti cristiani…
R. – I cristiani si sono rivolti alle chiese. Io, come vescovo che è stato in Libano, per otto anni ho accolto tante famiglie, tanti giovani cristiani nella mia casa, nella mia diocesi. E noi aiutiamo tutti, io non chiedo: chi sei? Tu soffri? Quando viene qualcuno, non chiediamo l’identità, aiutiamo tutti.
Quanti sono oggi i cristiani in Siria?
R. – Prima della crisi eravamo il 10 - 12%, adesso parliamo forse del 7%. Non ci sono dati veramente chiari: sicuramente possiamo dire il 5% dei 23 milioni di abitanti della Siria, allora più di un milione…
Di questi, i siro-cattolici quanti sono?
R. – La maggior parte della nostra Chiesa è a Homs. Noi abbiamo quattro diocesi, Homs appunto, Aleppo, Damasco e Jazeera, e possiamo dire che in ogni diocesi ci sono circa mille famiglie con cinque persone, quindi 5 mila fedeli. A Homs sono un po’ di più, a Damasco 5 mila, ad Aleppo meno, a Jazeera la maggior parte è andata via.
Come ci si prepara al Natale in Siria?
R. – Prima, durante questi anni, noi non abbiamo potuto “sentire” la festa, perché tante famiglie erano ferite: la mamma che ha perso il figlio non può festeggiare! Adesso va meglio: i ragazzi si stanno preparando. Mancava il presepe e l’ho portato io!
Quale auspicio da parte della Chiesa per questo Natale?
R. – Noi vogliamo la pace e auguriamo la pace a tutto il mondo, pensandola insieme.
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