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Padre Jacques Mourad Padre Jacques Mourad

A padre Jacques Mourad il Premio Archivio Disarmo per la pace

La 35esima edizione del Premio Archivio Disarmo – Colombe d’Oro per la Pace assegna il prestigioso riconoscimento a padre Jacques Mourad, priore di Mar Elian in Siria. Il sacerdote: un regalo che voglio dedicare a padre Dall’Oglio, a tutti i sacerdoti scomparsi e ai martiri cristiani

Cecilia Seppia - Città del Vaticano

La Colomba internazionale di Pericle Fazzini, simbolo di pace e impegno per la costruzione di un mondo senza le armi, va quest’anno a padre Jacques Mourad. Siriano, originario di Aleppo, padre Mourad è oggi il priore di Mar Elian, monastero affiliato a quello di Deir Mar Musa, fondato da padre Paolo Dall’Oglio. E’ proprio al gesuita italiano rapito 6 anni fa in Siria, a tutti i sacerdoti missionari e ai martiri cristiani che egli dedica questo riconoscimento di Archivio Disarmo, giunto alla 35esima edizione. Come il suo confratello scomparso, padre Mourad, ha subito per cinque mesi il dramma del rapimento avvenuto il 21 maggio 2015 per mano dell’Isis, che racconta in modo commovente nel libro-testimonianza dal titolo: “Un Monaco in ostaggio. La lotta per la pace di un prigioniero dei jihadisti”. Ma nemmeno le violenze e le torture hanno fermato la sua sete di pace, l’impegno instancabile per il dialogo tra cristiani e musulmani, la ricerca di strade di non-violenza, di perdono e di incontro dell’altro che padre Jacques Mourad ha scelto oggi di predicare e testimoniare in tutto il mondo.

Ascolta l'intervista a padre Jacques Mourad

R. - Questo premio è un regalo non solo per me, ma per la mia comunità, soprattutto però è per padre Paolo Dall’Oglio- non sappiamo più nulla del suo rapimento, non ci sono novità – ma lui è sempre nel cuore. Questo è il frutto della sua consacrazione, del suo sacrificio per l’amore di Cristo, per l’islam, per i musulmani. Quindi noi seguiamo la strada che lui ha iniziato. Questo premio è quindi in onore al suo lavoro, a quello che lui ha dato con la sua vita.

Immagino che oltre a padre Dall’Oglio ci siano nel suo cuore anche tanti sacerdoti come lui, rapiti, scomparsi, i tanti cristiani martiri della Siria e non solo …

R. - Certo. Esattamente. Sono tanti e spesso dimenticati. E questo premio vuol essere un segno della comunione della Chiesa con tutti i cristiani della Siria, soprattutto quelli di Qaryatayn che sono stati rapiti insieme a me. Quasi tutti siamo salvi grazie alla misericordia di Dio ma molti non ce l'hanno fatta.

Com’è possibile in una situazione così mutevole, violenta che caratterizza il contesto siriano potare avanti l’istanza del dialogo tra cristiani e musulmani?

R. - La guerra e i momenti di sofferenza non impediscono questa cammino di vita insieme, di convivenza e di dialogo, anzi lo rafforzano. Quindi per noi, anche in momento terribile che la Siria sta passando, non cambia nulla, perché la radice di questa vita insieme è l’amore di Cristo, la mentalità aperta e la bontà del cuore del popolo siriano. Siamo chiamati ad accoglierci.

La tregua concordata tra Turchia e Stati Uniti per uno stop di cinque giorni delle operazioni militari di Ankara nel nord-est del Paese, in cambio di un ritiro dei curdi, subisce continue violazioni, la situazione umanitaria è già al collasso, oltre al piano internazionale come sempre succede in questi casi bisogna cercare di tamponare aiutando concretamente la popolazione in fuga, ferita. Molti sono i cristiani che stanno scappando…

Ovviamente di fronte a questo caos si cerca di fare il possibile, di salvare i feriti, di aiutare i profughi, l’intervento umanitario è il primo e l’unico possibile ma la situazione è peggiorata per colpa del silenzio internazionale e del silenzio complice della politica. L’unica realtà è che questo popolo – cristiani e non - è condannato a morte sotto il bombardamento. Quindi l’unico modo di salvare questa zona è fermare veramente ogni atto di violenza, di guerra, altrimenti il resto dei cristiani che sono lì continueranno a scappare da questa zona alla ricerca di un posto più sicuro. Ma tutto questo, tutto ciò che è successo oggi, che vogliamo fare è un passo per evitare che finisca la presenza dei cristiani in questo Paese. Loro stanno continuando il progetto di far scomparire i cristiani. Ma io mi domando: 'fino a quando e perché i cristiani devono pagare i loro 2 mila anni di vita e storia in questa terra?'. Qui in questa zona del mondo ci sono i primi cristiani. Perché devono andarsene? Il mondo deve sentirsi responsabile di quello che sta accadendo.

I premiati italiani

In ambito nazionale il Premio Colombe d’Oro per la Pace viene invece conferito a personalità del mondo dell’informazione e della comunicazione che si sono distinte nel far conoscere casi virtuosi di soluzioni di conflitti, e si sono fatte portatrici di ideali di dialogo fra le culture in un mondo dove l’accettazione delle differenze e i diritti umani sono valori assediati  da visioni politiche ispirati a sentimento di odio e rancore. Tra questi, Leonardo Palmisano, sociologo, scrittore, editore, è autore di numerose inchieste sullo sfruttamento dei braccianti e di altri lavoratori ai margini del sistema produttivo ed è presidente della cooperativa editoriale Radici Future Produzioni. Palmisano definisce il Premio “un risultato commovente” da condividere idealmente con tutti gli schiavi che ha incontrato in questi anni di lavoro sul campo. C’è poi Elisabetta Soglio, responsabile dell’inserto "Buone Notizie" del Corriere della Sera, che racconta le storie e le energie che scaturiscono spontaneamente dalla società civile italiana e in particolare dal mondo del Terzo Settore.

Colomba della pace anche a Nanni Moretti

Madi Ferrucci, Flavia Grossi e Roberto Persia, sono invece i tre giornalisti freelance premiati per la loro video-inchiesta dal titolo “Doppia Ipocrisia”, che denuncia le responsabilità italiane nella produzione e nell’esportazione all’Arabia Saudita delle bombe che hanno fatto centinaia di vittime civili nella guerra in Yemen. Infine la Colomba d’Oro per la Pace va anche a Nanni Moretti per il suo "Santiago, Italia". Si tratta di uno straordinario film-documentario che racconta il decisivo ruolo dell'Italia ai tempi del colpo di stato in Cile, prima dando rifugio in ambasciata a centinaia di oppositori del regime e, successivamente, accogliendone altrettanti in una società in cui era vivissimo il senso di solidarietà per gli esuli e i perseguitati politici.

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21 ottobre 2019, 10:00