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Rapporto Sofa 2019 incentrato sugli sprechi dei prodotti alimentari Rapporto Sofa 2019 incentrato sugli sprechi dei prodotti alimentari 

Monito della Fao: troppo cibo viene perso e sprecato!

Presentato oggi a Roma, nel Palazzo della Fao, il Rapporto mondiale sullo Stato dell’alimentazione e l’agricoltura, Sofa 2019, incentrato sulle perdite agricole e gli sprechi di cibo. L’incontro ha aperto la settimana mondiale dell’Alimentazione. Intervista all’economista della Fao, Andrea Cattaneo

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

“Mi chiedo spesso come possiamo permettere che il cibo sia gettato via quando più di 820 milioni di persone continuano a soffrire la fame ogni giorno”. Si apre con questo interrogativo del nuovo direttore generale della Fao, Qu Dongyu, il Rapporto che fa il punto sullo stato dell’agricoltura e l’alimentazione nel mondo intero. “Solo una solida comprensione del problema” - sottolinea il viceministro dell’agricoltura e gli affari rurali in Cina, eletto nel giugno scorso a capo della Fao - “può rendere veramente efficaci i nostri sforzi per ridurre la perdita e lo spreco di cibo” che, oltre ad essere sottratto a chi potrebbe beneficiarne, crea un inutile pressione sull’ambiente e conseguenze dannose per la salute umana. Vale a dire che preziose risorse terrestri ed idriche vengono sprecate e nocivi gas serra vengono immessi nell’atmosfera senza necessità.

Dopo il raccolto, il 14 per cento dei prodotti viene perso

Il 14 per cento circa dei prodotti alimentari viene infatti perso – secondo le ultime stime della Fao – dopo il raccolto e prima di raggiungere i banchi della vendita al dettaglio. Le cause sono molteplici: arretratezza di tecnologie di produzione, mancanza di infrastrutture, ma anche cattiva gestione dei processi conservativi e assenza di incentivi a ridurre gli sprechi. La Fao chiede a tutti i Paesi, poveri e ricchi, di intensificare le azioni, anzitutto, per tracciare le perdite e gli sprechi e per offrire soluzioni riparative, come ci spiega Andrea Cattaneo, economista della Fao.

Ascolta l'intervista ad Andrea Cattaneo

Ad oggi qual è il valore economico di queste perdite alimentari?

R. - Il valore corrisponde più o meno a 400 miliardi di dollari all’anno solo per una parte di quella che è la catena alimentare, perché questa cifra non include le perdite a livello di raccolta, non include lo spreco a livello di vendita al dettaglio e lo spreco dal punto di vista dei consumatori.

Quali sono gli snodi critici della catena produttiva?

R. - Queste perdite variano da un punto di vista regionale, per cui ad esempio nell’Asia centrale e anche nel sud asiatico vediamo che le perdite raggiungono il 21 per cento, quindi più alte della media globale del 14 per cento mentre in Oceania e in altre parti dell’Asia sono al 7,9 per cento. Quindi vi sono variazioni a livello regionale ma anche  variazioni a livello di prodotto. Per frutta e verdure la media globale sale intorno al 20 per cento, mentre per cereali e legumi queste perdite sono intorno al 10 per cento. Quindi i prodotti più critici sono la frutta e la verdura e altri alimenti che hanno bisogno di refrigerazione, come carne e altri derivati animali.

Quali sono le cause di maggiori perdite?

R. - Le cause dirette delle perdite sono spesso legate a limiti di infrastrutture e di tecnologie. Quindi ad esempio non avere a disposizione un adeguato stoccaggio da un punto di vista già dell’azienda agricola è un elemento rilevante soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Poi ci sono le cause indirette, per cui non c’è un ritorno economico per un’azienda a ridurre le perdite, perché può accadere che il prezzo del prodotto sia troppo basso rispetto a quelli che sono gli altri costi. Quindi bisogna intervenire su queste cause indirette, affinché ci sia poi per le aziende un interesse a ridurre queste perdite.

I governi, quale ruolo possono giocare?

R. - I governi hanno chiaramente un ruolo molto importante da giocare, che va dal misurare le perdite, perché in effetti noi conosciamo solo a grandi linee queste perdite, ma non sappiano esattamente dove avvengono; poi informare il pubblico sia da un punto di vista dei consumatori, ma anche dei produttori e anche di tutte le aziende a livello di logistica e distribuzione, dove ci siano delle opportunità da cogliere; e poi cambiare le politiche, cercare di migliorare gli incentivi per ridurre queste perdite. Ad esempio se in alcuni Paesi può esserci una mancanza di infrastrutture - come dicevamo prima – si dovrà investire sulle strade, sulla capacità di stoccaggio, anche semplicemente operando sulla rete elettrica per dare accesso ad uno stoccaggio refrigerato. In altri Paesi ci sono invece dei sussidi ad alcuni prodotti alimentari, che vengono forniti a tutta la popolazione e chi non ne ha bisogno finisce con lo sprecare di più. Questo accade in alcuni Stati del Medio Oriente dove, ad esempio, il pane o la farina sono ad un prezzo regolamentato molto basso e va a finire che si spreca molto di più di quel prodotto. Per cui, lì, abbiamo delle politiche che non sono intese a ciò che è perdita e spreco e che però hanno un impatto sulla perdita e sullo spreco e quindi andrebbero modificate. Inoltre l’informazione al consumatore su quanto sprechiamo è un elemento molto importante perché spesso noi, come individui, sottostimiamo quello che in effetti buttiamo via.

Quanto può contare la consapevolezza del problema?

R. - Penso sia fondamentale. Soprattutto nei Paesi più ricchi, una volta che si ha la consapevolezza è abbastanza facile cambiare il proprio comportamento per evitare questi sprechi: accade infatti che la spesa per il cibo nel nostro budget casalingo sia diventata sempre più piccola, allora ci pensiamo di meno. Però una volta che siamo più infromati ci rendiamo conto che buttare via questo cibo ha un costo per la famiglia e che si tratta semplicemente di organizzarsi meglio. Si è visto nel Regno Unito e in Danimarca che campagne di sensibilizzazione hanno portato nell’arco di cinque anni ad una riduzione del 20 per cento del livello di spreco di cibo.

 

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14 ottobre 2019, 15:17