Sako: ascoltare la voce degli iracheni non spegnerla con violenza
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Ultimo aggiornamento 25.10.19 ore 07.45
Solidarietà a chi manifesta pacificamente, a chi aspira ad un domani migliore e crede nel confronto e nel dialogo. Così il Patriarcato caldeo di Baghdad in una nota, pubblicata qualche giorno fa, è intervenuto sulle recenti violenze che hanno investito l’Iraq ed hanno provocato 149 vittime dal primo ottobre. Violenze innescate dalle “richieste delle persone che lamentano lo stato di miseria in cui vivono – scrive il Patriarcato - dal peggioramento dei compiti della pubblica amministrazione e dalla propagazione della corruzione nella maggior parte dello Stato”. Per oggi il sito curdo Basnews parla di "stato di emergenza" dichiarato nel Paese: le manifestazioni dovrebbero interessare la capitale Baghdad e altre 11 città.
Ascolto delle richieste
“Facciamo appello alla coscienza dei responsabili del Paese”: si legge nella nota nella quale si invita a “fare passi concreti” ad avviare “un costruttivo dialogo” e alle forze di sicurezza si chiede di rispettare “il diritto di manifestare”, evitando la violenza. Il Patriarcato caldeo mette in luce anche la “distanza dalla politicizzazione” dei manifestanti, al di là delle barriere settarie, riconoscendo una sola identità irachena.
Cardinale Sako: giuste le domande della piazza
A Pope, il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ribadisce la solidarietà e la vicinanza della Chiesa ai manifestanti:
R. - Vogliono cambiare questo regime che sembra essere corrotto. Ci sono solo discorsi, non fatti reali. Le misure prese dal governo sono ambigue, dove è andato a finire il denaro? E come è stato utilizzato? Da 16 anni non ci sono progetti. La gente vuole un governo trasparente, onesto, che ami la patria e aiuti i cittadini a vivere con dignità, lasciando da parte tutte le influenze regionali e internazionali per concentrarsi sull’Iraq. E’ una sfida ma il governo non ha una visione chiara, né piani concreti per risolvere questi problemi e mettere l’Iraq sulla buona strada. Abbiamo fatto questo appello perché si rispettino la vita e i diritti dei manifestanti e si intraprenda un dialogo civile e pacifico.
Nella nota che avete scritto ribadite che è la prima volta dal 2003 che i manifestanti hanno espresso le loro rivendicazioni in maniera assolutamente pacifica. La risposta però è stata estremamente violenta, si parla di 149 vittime...
R. – E’ vero, hanno usato la violenza. Non si può forzare la gente a chiudere la bocca e a chi ha diritto di esprimersi e dire ciò che vuole. Il governo deve ascoltare le loro domande e cercare soluzioni appropriate e non solo mettere paura o usare la violenza. Tutti i politici e alcuni parlamentari hanno reagito contro questo metodo che appartiene al passato e non deve essere riproposto oggi in un Iraq democratico, libero.
La Chiesa ha espresso la sua solidarietà nei confronti del popolo iracheno. Qual è l’invito che vuole fare in vista soprattutto della manifestazione di domani?
R. – Siamo solidali con le loro domande: sono domande giuste, la gente aspetta da tempo un cambiamento, questi giovani non hanno lavoro, la miseria è dappertutto. Il nostro è un Paese molto ricco e secondo me le manifestazioni del Libano hanno un grande impatto sulla nostra gente perché lì le donne, gli uomini, anche l’esercito, tutti rispettano la manifestazione e la reazione è una reazione civile, nel dialogo. Dobbiamo imparare da loro. La gente chiede che siano prese delle misure, che siano arrestati i corrotti e che venga recuperato il denaro per aiutare... E’ la grande sfida sia del governo sia del popolo.
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