Amazzonia terra ferita nel libro inchiesta di Capuzzi e Falasca
Michele Raviart – Città del Vaticano
“L’Amazzonia è una donna. Una donna stuprata”, “volevamo incontrarla, poterla guardare negli occhi. E siamo andate. E siamo entrate in quegli occhi”, perché l’Amazzonia è vicina. È fuori e dentro la vita di tutti”. Con queste parole le giornaliste di Avvenire Lucia Capuzzi e Stefania Falasca introducono il volume “Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita”, edito dalla Emi, che raccoglie i reportage delle due giornaliste che hanno seguito il corso del Rio delle Amazzoni raccontandone, la terra, i luoghi e le persone.
Amazzonia speranza del mondo
Una terra di 7,8 milioni di chilometri quadrati, che da sola fornisce oltre il 6% dell’aria pulita del Pianeta. Una realtà in crisi che, spiega nella prefazione il cardinale Claudio Hummes, relatore generale del Sinodo per l’Amazzonia, “che interpella tutto il mondo e dunque anche la missione della Chiesa universale”. “Oggi è evidente che la crisi socio-ambientale dell’Amazzonia riveste un’importanza planetaria”, spiega il porporato, che è anche presidente della Rete ecclesiale panamazzonica, “qui è in gioco il futuro del pianeta e dell’umanità. Senza l’Amazzonia resterà poca o nessuna speranza di vita al mondo”.
Una crisi integrale
“In Amazzonia c’è una crisi ambientale che diventa crisi sociale”, spiega Stefania Falasca a margine della presentazione del volume nella Sede di Pope – Radio Vaticana Italia, in cui regna “un modello di sviluppo ossessionato dal Dio denaro, che comporta una mentalità da cultura dello scarto, l’inquinamento delle acque e il considerare la terra come una merce, senza nessuno scrupolo”.
Il caso di Manaus
La città di Manaus, continua ancora l’autrice, “è l’emblema di una economia che uccide. Tutte le multinazionali sono in mezzo alla foresta, attirate dagli sgravi fiscali”. Una città che è la più grande metropoli dell’Amazzonia e dove vivono 35 mila indigeni che, spiega durante la conferenza di presentazione Marcivana Rodrigues Paiva, leader dell’etnia saterè mawè, spesso sono costretti ad abbandonare la foresta per andare a vivere in città. E lì sono invisibili, privi delle tutele fornite loro nei villaggi e non pienamente cittadini. Una condizione che si ripercuote, ad esempio, nell’accesso alle cure sanitarie.
Tutto è connesso
“Un’economia che distrugge la terra e miete vittime umane non è veramente economia”, ribadisce suor Alessandra Smerilli, docente di economia politica alla facoltà di Sciende dell’educazione “Auxilium”: “Tutto è connesso. Il grido della terra e il grido dei poveri sono lo stesso grido”. Una correlazione più volte mostrata nel libro che, come ha affermato Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, “è un lavoro che aiuta a capire quello che altrimenti non potremmo vedere”. Ne è un esempio la cittadina di Madre de Dios in Perù, visitato dalle due giornaliste, in cui le bambine sono costrette a prostituirsi nei bar della città per i minatori locali, a loro volta sfruttati dalle multinazionali che inquinano la foresta.
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