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La solidarietà internazionale per le Bahamas dopo il passaggio dell'uragano

Caritas Italiana ha espresso vicinanza a quanti sono stati colpiti dall’uragano Dorian e, d’intesa con Caritas Antille e con la rete internazionale, segue l’evolversi della situazione, sostenendo gli interventi necessari nell’immediato e nella successiva fase di ricostruzione. Intervista a Paolo Beccegato

Barbara Castelli – Città del Vaticano

Il passaggio dell’uragano Dorian, con raffiche di vento che hanno toccato i 350 km orari, ha lasciato dietro di sé una scia di morte e distruzione. Nelle Bahamas, in particolare Gran Bahama e Abaco, si contano almeno 50 vittime e si teme che il bilancio possa crescere per le migliaia di persone che ancora mancano all’appello. Almeno “70 mila persone” sono “bisognose di tutto, completamente dipendenti dagli aiuti umanitari”: rimarca Paolo Beccegato, vicedirettore vicario e responsabile dell’Area internazionale di Caritas italiana, ai microfoni di Pope, si tratta di uno “scenario da catastrofe umanitaria”.

La risposta di chi è vicino agli ultimi

Caritas Antille, in stretto contatto con mons. Patrick Pinder, arcivescovo di Nassau, e in collegamento con la rete internazionale si è subito attivata. Una missione con personale del Catholic relief services e di Caritas Antille è arrivata a Nassau per monitorare i bisogni e avviare gli aiuti di emergenza alla popolazione coinvolta, coordinandosi con il Governo locale. Quest’ultimo sta, infatti, organizzando la risposta umanitaria attraverso la National emergency management agency (NEMA), con il sostegno del Caribbean disaster emergency management agency (CDEMA), delle agenzie delle Nazioni Unite e dei vari altri organismi presenti sul posto. Accanto alla necessità di evacuazione e di ripari temporanei per le persone che hanno perso la casa, occorrono acqua potabile, cibo, medicinali e attrezzature sanitarie, prodotti per l’igiene e anche sostegno psicologico, in particolare per i bambini. “Non bisogna dimenticare che nelle zone più colpite – insiste Paolo Beccegato – ci sono categorie particolarmente deboli”: ci viene segnalata, ad esempio, la situazione degli haitiani, “che vivevano già in baracche, in situazioni di grandissima precarietà, di grandissima vulnerabilità”. “Ancora una volta – aggiunge – a pagare il prezzo più alto di queste catastrofi sono i più poveri, i più dimenticati, le minoranze”.

Ascolta l’intervista a Paolo Beccegato

R. – La situazione è molto preoccupante perché soprattutto nelle isole più colpite, quello che potrebbe essere considerato l’epicentro del passaggio dell’uragano, Dorian lascia dietro di sé sostanzialmente uno scenario da bombardamento a tappeto. E quindi, le migliaia di dispersi si teme possano trasformarsi in vittime. Oltre ai danni che vedono già 70 mila persone almeno bisognose di tutto, completamente dipendenti dagli aiuti umanitari, c’è la preoccupazione molto forte per queste vittime e per il fatto che gran parte della popolazione debba sostanzialmente lasciare le isole e andarsene mettendo a rischio e in qualche modo anche ipotecando il futuro della Nazione stessa. Non bisogna dimenticare che nelle zone più colpite, tra quelli che sono stati più colpiti, ci sono categorie particolarmente deboli, particolarmente vulnerabili: ci viene segnalata, in particolare, la situazione degli immigrati, in particolare gli haitiani, che vivevano già in baracche, in situazioni di grandissima precarietà, di grandissima vulnerabilità. Quindi, ancora una volta, a pagare il prezzo più alto di queste catastrofi sono i più poveri, i più dimenticati, le minoranze, in questo caso quelle haitiane. Ecco: un contesto complessivo, uno scenario complessivo da catastrofe umanitaria. Per questo lanciamo questo appello a tutti, per una solidarietà che deve guardare al lungo periodo perché qui, di fatto, si tratta di ricostruire intere aree del Paese.

Quali sono gli interventi che programma Caritas, e quali le urgenze più impellenti?

R. – Il nostro specifico è quello di intervenire nelle emergenze e quindi fin da adesso ci sono dei team che stanno monitorando le zone più colpite, anche le zone remote, perché non vanno trascurate, per mettere a punto subito un piano di aiuti, al di là della distribuzione immediata di generi umanitari che è già in atto; ma quanto prima, un piano di aiuti che di solito va a coprire i primi tre-sei mesi. Quello che però si intravede non è solo il bisogno relativo a questa fase iniziale, ma visto il livello della devastazione il fatto di intervenire nel medio e lungo periodo. Quindi, un piano che poi evolverà in un altro programma di aiuti per lo sviluppo complessivo del Paese. Il nostro specifico è quello di restare presenti nell’area, affianco della Caritas locale colpita, vittima essa stessa; ma con la rete della Caritas Internationalis nel lungo periodo – in alcuni casi nel lunghissimo periodo, anche un decennio, nei casi più gravi – restiamo affianco alle popolazioni colpite. Quindi, qui si intravede uno scenario molto preoccupante che potrebbe essere preludio a questo tipo di approccio, dove si collega la Relief, Rehabilitation and Development: quindi, nel brevissimo periodo la ricostruzione, la riabilitazione e lo sviluppo, le tre lunghe fasi che possono vedere, auspicabilmente, la ripresa del Paese guardando soprattutto alle fasce sociali più deboli e più colpite.

Anche Papa Francesco ha espresso solidarietà e vicinanza per queste persone. L’ennesima tragedia legata ai cambiamenti climatici?

R. – In qualche modo, tutti gli studi dicono che negli ultimi decenni, in particolare negli ultimi anni, c’è stato un crescendo dei disastri naturali, che però hanno anche una responsabilità antropica. Quindi, c’è un collegamento tra la magnitudo di questi fenomeni metereologici estremi e i cambiamenti climatici che ormai caratterizzano tutto il pianeta. Per esempio, la velocità dei venti che caratterizza questi uragani è costantemente in crescita: di anno in anno, ci sono uragani che vanno a segnare dei picchi, dei record mai toccati prima.

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10 settembre 2019, 14:57