L’India vieta il business dell'utero in affitto
Marco Guerra – Città del Vaticano
La camera bassa indiana ha approvato il provvedimento che vieta in tutto il Paese l’utero in affitto a fini commerciali. La legge autorizza la maternità surrogata solo nel caso di scelta altruistica, tra persone della stessa famiglia, e solo per le coppie di indiani sposate da almeno 5 anni che non abbiano altri figli viventi.
Già vietata agli stranieri
L’India stabilisce quindi regole ancora più stringenti sull’accesso a questa barbara pratica che rende donne e bambini oggetti di mercimonio, dopo che già nel 2015 la Corte Suprema del Paese asiatico aveva vietato la cosiddetta gestazione per altri (gpa) in favore di coppie straniere.
Gli ingenti interessi economici
Dal 2002, quando la pratica dell'utero in affitto viene autorizzato da un voto legislativo, l'India diventata una delle principali destinazioni del turismo procreativo. Nel 2012, uno studio commissionato dalle Nazioni Unite su questo vero e proprio business, stima un giro d'affari annuale di quasi 400 milioni di dollari, e la nascita di circa 25 mila bambini.
Le ripercussioni etiche
La nuova legge rende illegali più di 3000 cliniche private che da oltre 15 anni prosperano in tutto l'India. Tuttavia, restano ancora irrisolti i fondamentali interrogativi etici e antropologici, poichè la normativa approvata ieri prevede che l'unica donna ad offrirsi per portare avanti la gravidanza deve essere sorella, cognata, zia o cugina, di uno degli aspiranti genitori. Ad ogni modo, la decisione della camera bassa del parlamento viene salutata dall'ampio fronte culturale del Paese, come un importante passo in avanti.
Cavallo (Livatino): dall'India una lezione a tutto il mondo
Intervistato da Pope, l’avvocato Francesco Cavallo del Centro studi Rosario Livatino parla di “lezione sorprendente”, che arriva da un Paese come l’India “che non vanta una tradizione giuridica come quella europea”. Secondo il giurista si tratta di una presa d’atto che cela, dietro al business dell’utero in affitto, la compravendita del corpo di una donna.
Tribunali che legittimano una pratica aberrate
Cavallo ritiene che la pratica andrebbe combattuta con maggiore impegno anche nei Paesi occidentali, dove “non aiuta” il fatto che spesso i tribunali si trovano davanti al ricatto del fatto compiuto all'estero e legittimano una “pratica aberrante” riconoscendo la genitorialità della coppia che ha acquistato il bambino. Per questo motivo si auspica un intervento delle Nazioni Unite e una moratoria internazionale.
Sargentini: in India c’erano fabbriche di bambini
“Le donne erano chiuse in una specie di fabbriche di bambini con i letti l’uno accanto all’altro”, così Monica Ricci Sargentini, giornalista del Corriere della Sera, che ha realizzato molte inchieste sul business dell’utero in affitto, racconta la drammatica realtà indiana a Pope, esprimendo soddisfazione per l’approvazione della legge.
L'utero in affitto non è mai un gesto altruistico
La Sargentini da sempre si batte contro la retorica della “pratica altruistica” veicolata dalle agenzie di surrogacy “che vogliono vestire questo fenomeno con l’abito del dono alle coppie che non possono procreare” perché sterili o dello stesso sesso. “Nessuna donna – sostiene – affronta una gravidanza di nove mesi per fare un dono”.
La moratoria internazionale
Inoltre, la giornalista e attivista del movimento Rua (Resistenza all’utero in affitto) ricorda che solo 18 Paesi, su un totale di 206, consentono questa pratica e che molti governi - come Nepal, Messico e Thailandia - hanno recentemente vietato l'utero in affitto dopo aver registrato numerose violazioni dei diritti umani. “Restano Stati come la California”, spiega in conclusione Sargentini, “dove la madre surrogata, per contratto, rinuncia ad ogni diritto sul suo corpo” e per questo, “serve una moratoria internazionale”.
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