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 Un bambino della minoranza Rohingya Un bambino della minoranza Rohingya  

Rohingya: nel campo profughi di Cox’s Bazar in Bangladesh a rischio 3 parti su 4

Su 100.000 nascite nei campi profughi Rohingya, si registrano 179 donne morte durante la gravidanza o il parto, un tasso di mortalità più di 2 volte maggiore di quello stabilito dalle Nazioni Unite come obiettivo per il 2030. In più della metà dei casi i parti avvengono nelle abitazioni, senza alcuna assistenza medica

Matteo Petri - Città del Vaticano

Messi al mondo in abitazioni insicure e insalubri, senza alcun tipo di assistenza. Sono nati così almeno 281 bambini Rohingya nel campo profughi di Cox’s Bazar in Bangladesh. Qui 3 neonati su 4 sono a rischio. Circa il 75% delle nascite negli ultimi 10 mesi è avvenuto in abitazioni, solo 119 parti sui 400 registrati sono potuti avvenire in sicurezza in strutture predisposte. A rischio è la loro salute e quella delle loro mamme. Questi i dati che emergono dall’allarme lanciato da Save The Children.

La questione dei Rohingya

Nel campo profughi di Cox’s Bazar vivono oggi oltre 1 milione di persone di cui molte di etnia Rohingya, un gruppo perseguitato da molti anni e costretto all’esilio dal Myanmar. Discendenti di un gruppo di mercanti musulmani originari dell’allora Bengala, i Rohingya emigrarono nell’attuale Myanmar durante il periodo coloniale britannico. Pur essendo di fatto cittadini del Myanmar, questa etinia venne discriminata, privata del riconoscimento della nazionalità e costretta di fatto, alla fine degli anni Settanta, all’esilio. In questo periodo più di duecentomila persone ad abbandonarono il Paese per rifugiarsi all’estero. Al principio degli anni Novanta altri duecentocinquantamila Rohingya abbandonarono la Birmania per rifugiarsi principalmente in Bangladesh inseguendo l’illusione di poter essere meglio accolti in uno Stato di popolazione a maggioranza musulmana sunnita. Non fu così, perché anche qui subirono discriminazioni.

I dati delle discriminazioni

Stando ai dati di Medici Senza Frontiere, in un mese, dal 25 agosto al 24 settembre 2017, almeno 6.700 Rohingya hanno perso la vita colpiti da armi da fuoco o bruciati vivi nelle loro case o per violenti percosse. 730 di questi 6.700 erano bambini al di sotto dei 5 anni. Da qui la scelta delle donne incinte di partorire in casa anche tra condizioni igienico sanitarie precarie, per il timore dell’infanticidio o della sterilizzazione forzata

I numeri potrebbero aggravarsi

Nei prossimi 12 mesi, sottolinea Save the Children, ci saranno più di 12.000 parti nei campi profughi Rohingya e anche questi potrebbero avvenire nelle abitazioni, esponendo i neonati e le loro mamme a gravi rischi per la sopravvivenza e la salute, a causa di condizioni ambientali, igieniche e di assistenza non idonee. I parti nelle abitazioni infatti sono assistiti da persone impreparate a identificare e gestire tempestivamente le emergenze e non sono a conoscenza di eventuali patologie materne pre-esistenti.

L’azione di Save The Children

“Abbiamo un team molto nutrito sul campo - spiega a Pope Filippo Ungaro, portavoce di Save The Children - grazie al quale riusciamo a portare avanti interventi in ambito di educazione, salute e nutrizione. In particolar modo abbiamo una decina di centri medici, nove centri per la cura della malnutrizione e un’altra decina di centri per la distribuzione del cibo”. L’obiettivo di Save The Children è infatti quello di garantire la sopravvivenza a tanti bambini e a tante mamme. “Cerchiamo soprattutto di costruire per questi bambini un futuro dignitoso”, aggiunge Ungaro.

Ascolta l'intervista a Filippo Ungaro

L’auspicio di Papa Francesco per una “pace inclusiva”

A fine 2017 Papa Francesco, durante il viaggio apostolico in Myanmar fece un forte richiamo ad una “pace inclusiva” nominando esplicitamente anche l’etnia Rohingya. “Ancora sono da attuare molti passi per arrivare alla pace”, aggiunge il portavoce di Save The Children. “La situazione è ancora molto grave ed è quanto mai necessario trovare al più presto una soluzione stabile e duratura - conclude Ungaro - in particolare per i bambini che sono la parte più vulnerabile delle persone che ogni giorno vivono nel campo profughi”.

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04 giugno 2019, 17:36