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Una delle manifestazioni di piazza dei giovani studenti algerini Una delle manifestazioni di piazza dei giovani studenti algerini  

Algeria, mons.Teissier: si spera in una società nuova e inclusiva

L’arcivescovo emerito di Algeri in questi giorni a Roma per partecipare ad un incontro sul dialogo tra cristiani e musulmani, ospite di Radio Vaticana Italia

Francesca Sabatinelli - Città del Vaticano

Lo sforzo per capire le problematiche dell’islam è necessario, ma è meno importante del vivere insieme tra discepoli del Vangelo e del Corano”. Mons. Henri Teissier, arcivescovo emerito di Algeri, ha vissuto in Algeria gli anni ’90, il l “Decennio nero”, quello del terrorismo fondamentalista , che ha mietuto decine di migliaia di persone, tra cristiani e musulmani.

Oggi, a distanza di venti anni, racconta la nuova realtà di Algeria, che in questi mesi sta vivendo una rivoluzione pacifica, con la popolazione che scende in piazza per chiedere un radicale cambiamento politico, manifestazioni che continuano nonostante le dimissioni del presidente Abdelaziz Bouteflika. L’Algeria oggi è un paese che ha anche permesso nel dicembre scorso, per la prima volta in uno stato musulmano, la beatificazione ad Orano di 19 martiri cristiani, religiosi e religiose di diverse congregazioni. Mons. Henri Teissier oggi pomeriggio alle 18, sarà ospite di una conferenza a Roma, dal titolo “Musulmani e cristiani in Algeria: esperienze e speranze condivise”, organizzata dal Cantiere Cipax in collaborazione con Pax Christi. La sua testimonianza dai nostri studi:

Ascolta l'intervista a mons. Teissier

R. – Per noi fu una cosa straordinaria il fatto che lo Stato algerino avesse accettato di celebrare la beatificazione in Algeria, perché lo Stato aveva proibito di tornare a quel periodo della violenza che aveva causato tra i 150 mila e i 200 mila morti: voleva che quei dieci anni tra il 1990 e il 2000 fossero dimenticati. I vescovi attuali, invece, hanno detto allo Stato algerino che l’intento non era ricordare la violenza, ma la fedeltà delle vittime che, pur potendo lasciare il Paese nel quale sono poi state poi assassinate, hanno scelto di rimanere con il popolo algerino. Lavoravano in un quartiere popolare, nel momento di pericolo non hanno lasciato la gente, è una cosa che non hanno voluto fare. C’è chi scelse di andare via, noi lasciammo noi a ciascuno la libertà di prendere la propria decisione, però la grande maggioranza di sacerdoti, di religiose e religiosi, anche di laici missionari, decise di rimanere con i loro fratelli algerini.

 Mons. Teissier, lei è stato testimone negli anni di tante esperienze di incontro tra la comunità cristiana e la popolazione musulmana, oggi quanto è aperta la strada del dialogo e dell’incontro?

R. – Si sa che nel mondo musulmano oggi ci sono correnti diverse, tra cui alcune che non accettano il dialogo o l’incontro. Ma noi, naturalmente, siamo in relazione con coloro che l’accettano e con loro facciamo tante cose che hanno importanza sul piano sociale e umanitario. Per esempio, lavoriamo insieme per i disabili, il che non implica soltanto un lavoro di servizio, ma anche una riflessione sulla vita umana, sul rispetto dei bambini che non hanno le stesse possibilità di altri, e via dicendo. Facciamo lo stesso in molti campi per esempio con la Caritas, e questo significa che nella nostra chiesa la maggioranza di quelli che lavorano con noi sono musulmani perché i cristiani non sono numerosi e perché ci sono musulmani che accettano, che desiderano lavorare con noi. Questo è un segno positivo, in questo momento in cui ci sono luoghi in cui tra cristiani e musulmani c’è violenza.

Le agitazioni sociali che ci sono state nel Paese potrebbero creare di nuovo qualche situazione di pericolo nell’ambito dei rapporti tra cristiani e musulmani?

R. – Normalmente no, perché quelli che fanno queste manifestazioni dicono che vogliono creare una Nazione nuova nella quale ciascuno sappia di essere algerino, senza fare però distinzioni tra gli arabi e i berberi o tra la forma di islam che hanno scelto, eccetera. Vogliono vivere nel reciproco rispetto, speriamo che il risultato di questo cambiamento della società possa essere anche un passo nuovo verso questa conquista.

 Se c’è qualcosa che la preoccupa in questo momento, cosa è?

R. – Trovare una soluzione politica, perché naturalmente adesso si fanno manifestazioni pacifiche però è necessario che si trovi una soluzione, scegliendo persone che possano entrare in discussione con il potere attuale. Per noi, come cristiani, la cosa che ci aspettiamo è l’impegno più ampio possibile con i nostri fratelli musulmani in tutti gli ambiti. Per esempio, ci sono tante carceri nelle quali andiamo a visitare i cristiani detenuti, e questo istituisce un rapporto molto positivo tra di noi, nel campo culturale, lo stesso. Noi vogliamo ampliare le relazioni con i musulmani che accettano di lavorare con noi, che cercano di capire il nostro progetto e di esserci con noi.

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16 maggio 2019, 16:43