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Emofilia: gravi disparità nelle cure tra Paesi ricchi e poveri

Sensibilizzare le comunità e individuare i malati: questi gli obiettivi della Giornata mondiale dell’emofilia, giunta alla XV edizione, celebrata ogni anno il 17 aprile. Intervista a Luigi Ambroso

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

L’emofilia è una patologia genetica, presente fin dalla nascita, che si manifesta entro i primi anni di vita, comportando anomalie nella coagulazione del sangue, con rischi di emorragie, in seguito a ferite o traumi o anche spontanee.  

Una malattia rara che colpisce 400 mila persone

Classificata come malattia rara, colpisce nell’intero pianeta, secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) circa 400 mila persone, di cui 32 mila in Europa, oltre 5 mila in Italia. Ad esserne colpita è la popolazione maschile e solo rarissimamente quella femminile, che può essere però portatrice sana e trasmetterla ai figli.

Sensibilizzare comunità locali e formare operatori

In questa Giornata, sotto l’egida dell’Onu, la Federazione mondiale dell’emofilia (Wfh) chiede in tutti i Paesi di accendere un faro su questa malattia per sensibilizzare la comunità internazionale e le popolazioni locali, specie nei Paesi più poveri e arretrati, formando in loco gli operatori per individuare e saper curare i malati, scongiurando i pericoli di morte emorragica e garantendo loro una migliore qualità di vita.

Cure, assistenza e ricerca in Italia

Tra i Paesi avanzati nell’assistenza e nelle terapie è l’Italia, come testimonia  Luigi Ambroso, malato di emofilia, consigliere nel direttivo della FedEmo, la Federazione di 32 associazioni emofilici.

Ascolta l'intervista a Luigi Ambroso

R. – Possiamo dire che l’assistenza in Italia è abbastanza efficace. Questo è più o meno riscontrabile in tutti i Paesi cosiddetti sviluppati, dove ci si possono permettere le cure. Purtroppo una vastissima area nel mondo – parliamo dei Paesi poveri – non ha a disposizione le terapie per la cura dell’emofilia.

Anche in Italia vi sono però delle criticità.

R. - Già da qualche anno FedEmo vuole tenere accesi riflettori in particolare su un accordo che è stato siglato sei anni fa con la Conferenza Stato-Regioni per il trattamento delle Mec, ovvero delle malattie emorragiche congenite, perché si riscontrano ancora oggi comunque delle disparità tra Nord, Centro e Sud circa la cura e la terapia dell’emofilia.

Per quanto riguarda la dipendenza dalle donazione di sangue, qual è la situazione?

R. - Ormai da parecchi anni la scienza ci ha messo a disposizione parecchi farmaci. Per cui oggi solamente un 30 per cento - forse anche meno di noi - usa prodotti di derivazione del sangue, quindi plasma e derivati. Ma è una percentuale che andrà diminuendo, perché – appunto - siamo agli albori di una nuova era con dei farmaci, che non hanno neanche bisogno del sangue; addirittura vanno iniettati sotto cute e con una durata molto lunga rispetto ai farmaci ancora attuali che ci costringono a delle infusioni endovenose che noi facciamo a seconda che si tratti di emofilia A – quindi più grave - tre volte a settimana – o se si tratta di emofilia B, con trattamenti ogni quindici giorni. Quindi queste nuove terapie, queste nuove molecole agiscono in una maniera diversa ed hanno una durata maggiore; si passerà quindi – già lo stiamo facendo, perché una è già in commercio – ad una piccola puntura sotto cute, ogni sette giorni ma probabilmente si arriverà anche a quindici giorni.

Questo darà la possibilità ai malati di condurre una vita sicuramente di migliore qualità

R. - Diciamo che ormai il paziente emofilico non è più il paziente degli anni ‘60, ‘70, dove ricorreva spesso la frase: “Dovete vivere sotto una campana di vetro”. Ormai il paziente, grazie alle cure a disposizione, può fare una vita pressoché equiparabile a un non emofilico.

Come procede la ricerca genetica su questa malattia per prevenirla?

Prevenirla no. Ci sono stati però, tanti progressi, risultati molto importanti. Non vogliamo dare false speranze ma siamo molto prossimi a questo tipo di terapia che andrà a correggere il difetto del gene che non funziona. Al momento non c'è "la guarigione" ma il gene sano che viene inserito sembra funzionare per anni. Il problema, casomai, sarà la sostenibilità economica, perchè stiamo parlando di terapie molto costose. Sarà un investimento, una spesa immediata che porterà un risparmio nel tempo, senza contare il miglioramento della qualità della vita.

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16 aprile 2019, 08:45