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La giustizia sociale segna il passo nel mondo: arretra il lavoro dignitoso

Pace, sviluppo e lavoro dignitoso al centro dell’odierna Giornata internazionale della giustizia sociale, indetta dalle Nazioni Unite. Intervista a Gianni Rosas, direttore in Italia dell’Organizzazione internazionale del lavoro

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

“Se vuoi pace e sviluppo, lavora per la giustizia sociale”: questo il tema 2019 della Giornata, celebrata ogni anno in tutto il mondo il 20 febbraio, a rinnovare l’impegno sottoscritto da 182 Stati, firmatari della Dichiarazione sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta, adottata nel 2008 dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo-Oil), agenzia delle Nazioni Unite, cui aderiscono rappresentati dei governi, delle imprese e dei lavoratori. Un documento maturato in tempi critici nella congiuntura economica sociale del pianeta, frutto della convinzione comune della necessità di rafforzare la dimensione sociale per raggiungere risultati più equi nello sviluppo globale e sostenibile dei popoli.

Il lavoro dignitoso è la chiave dello sviluppo sostenibile

A cento anni dalla sua istituzione, il direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder, ricorda in un messaggio per la Giornata, che il lavoro dignitoso è la chiave per raggiungere uno sviluppo sostenibile e realizzare la giustizia sociale che è, a sua volta, il fondamento per la pace duratura.

“Nonostante il progresso economico e sociale – scrive Ryder - realizzato a livello globale negli ultimi decenni, i suoi frutti sono spesso distribuiti in modo ineguale. Molte persone che si sono affrancate dalla povertà rischiano di ricaderci. La tecnologia ha generato posti di lavoro, aperto opportunità e alleviato fatica, ma miliardi di lavoratori sopravvivono a malapena attraverso il loro lavoro nell’economia informale. Molte società sono segnate da profonde divisioni sociali ed economiche; diverse popolazioni sono dilaniate dalla guerra e dai conflitti. E in un mondo del lavoro che cambia, le relazioni stabilite, le norme e gli standard vengono messi in discussione. In questi contesti, i diritti fondamentali sul lavoro devono ancora essere pienamente realizzati”.

Creare occupazione previene i conflitti e mantiene la pace

“Un lavoro scelto liberamente, svolto in condizioni di equità, sicurezza e dignità - un lavoro dignitoso - continua ad essere fondamentale nelle nostre società”, ammonisce il direttore generale dell’Ilo. Si stima, infatti, che oggi nel mondo circa 2 miliardi di persone - tra cui 400 milioni di giovani con un’età fra 15 e 29 anni - vivano in situazioni di fragilità sociale e di conflitto.

Creare occupazione, migliorare la qualità e l’accesso al lavoro può fare la differenza per aumentare i redditi e favorire società più coese ed eque, raccogliendo altresì le sfide della globalizzazione e delle innovazioni tecnologiche come spiega Gianni Rosas, direttore dell’Ufficio dell'Organizzazione internazionale del lavoro per l’Italia e San Marino.

Ascolta l'intervista a Gianni Rosas

R. - Nei Paesi poveri abbiamo ancora a 300 milioni di lavoratori che vivono in condizioni di povertà estrema, cioè guadagnano per loro e per la loro famiglia meno dell’equivalente di un dollaro e 90 al giorno. Se poi aggiungiamo gli altri lavoratori che vivono in povertà relativa, arriviamo a 700 milioni di persone nel mondo. Abbiamo poi 190 milioni di persone nel mondo che, allo stato attuale non lavorano, sono disoccupate. Quindi c’è una grande sfida non solo di aumentare la quantità di lavoro ma anche di focalizzarsi sulla qualità del lavoro, quindi su un lavoro che dà dignità umana, che viene esercitato in condizioni di libertà, di equità e di sicurezza, questo è il concetto di lavoro dignitoso.

Ora se pensiamo che nel mondo ci sono 25 milioni di lavoratori schiavi, cioè che vivono privati della libertà o che ci sono 152 milioni di bambini che anziché giocare e andare a scuola sono vittime del lavoro minorile, allora le sfide sono davvero molto importanti. Senza contare che dei 3,3 miliardi di lavoratori nel mondo, due miliardi lavorano nell’economia informale, dove non hanno nessun diritto, dove non hanno nessuna voce, dove non hanno nessuna protezione. Queste sfide si accompagnano alle sfide che emergono dall’introduzione delle nuove tecnologie, dai cambiamenti climatici, dai fattori demografici.

Lei non crede che però sia importante che nel mondo sviluppato ci sia una reazione di fronte al venire meno di diritti acquisiti per definire un lavoro dignitoso?

R. - Certo ci deve essere una reazione, ci deve essere un ripensamento per orientare le scelte delle politiche e orientare i modelli di sviluppo economico a degli approcci che mettano le persone al centro. Bisogna senz’altro rinvigorire il contratto sociale, che è poi l’accordo tra lo Stato, gli attori del mondo del lavoro e i cittadini. Quindi senz’altro c’è bisogno di fare questo anche perché le nuove sfide di cui parlavamo portano pure delle grandi opportunità, quindi bisogna responsabilizzarsi ed agire più attivamente in maniera che i benefici siano massimizzati e che siano invece ridotti i rischi.

Le faccio due esempi. Gli investimenti nell’economia della cura e dell’assistenza soprattutto nelle società dove c’è un invecchiamento della popolazione, secondo le nostre stime, a livello mondiale potrebbero creare 475 milioni di nuovi posti di lavoro. Aderire o comunque prendere iniziative che aderiscano agli accordi sui cambiamenti climatici di Parigi, che prevedono una riduzione del riscaldamento del clima di 2 gradi centigradi, potrebbe nei prossimi anni produrre 18 milioni di lavori addizionali. Quindi il concetto è che i cambiamenti devono essere governati, cosicché si possano orientare anche verso risultati favorevoli anziché sfavorevoli.

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20 febbraio 2019, 15:39