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Graziano Sonnino:fuggito ai nazisti grazie a padre Cubbe

Aveva 9 anni Graziano Sonnino quando nel 1943, insieme al fratello e al cugino, si salvò dai rastrellamenti nazisti. Ripararono nel Nobile Collegio di Mondragone, vicino Frascati, dove ad aprire loro la porta ci fu il padre gesuita Raffaele de Ghantuz Cubbe, riconosciuto poi “Giusto fra le nazioni”. Il sacerdote tenne nascosta la loro identità fino al giorno della liberazione di Roma

Paolo Ondarza - Città del Vaticano

R. – Noi abitavamo al quarto piano. Una sorella di mio padre abitava sopra di noi al quinto piano, in Via Arenula 41. E i nonni abitavano a fianco, nell’altra scala. Purtroppo, il giorno del 16 ottobre furono deportati, e da quel giorno tutti sparirono. Mia zia Ida con i tre cuginetti… in quattro persone facevano 30 anni.

D. – Grazie ad alcuni amici, suo padre riesce a far riparare lei, insieme a suo fratello e a suo cugino, allora bambini, nel Nobile Collegio di Mondragone. Qui il padre gesuita, Raffaele Cubbe, vi dà ospitalità e tiene nascosta, riservata, la vostra identità…

R. – Avevamo i documenti e il cognome di Sbardella. E abbiamo convissuto con gli altri ragazzi nel collegio, e nessuno, neanche i preti che ci assistevano, sapeva della nostra religione. A parte la paura di essere riconosciuti in qualità di ebrei - perché la nostra circoncisione è una cosa naturale e c’è - a parte questa remora di paura, per il resto eravamo normali convittori con loro: si studiava e si giocava con loro. Però convivevamo con i figli di Galeazzo Ciano, i Pio di Savoia della famiglia Savoia. Chiaramente, c’era la Messa tutti i giorni, e c’era il turno del chierichetto che aiutava a servire la Messa in latino, perché la Messa era in latino. Naturalmente, con il tempo, ho imparato a memoria tutto ciò che si fa durante la Messa e ho imparato a fare il chirichetto.

D. – Un episodio durante il quale avete rischiato di essere scoperti…

R. – Per una festività forse dell’epoca ci servirono il prosciutto. A un certo punto, un ragazzo si alzò non vedendo mangiare il prosciutto né a me né a mio fratello. Ci disse: “Ma non mangiate il prosciutto che è così buono…? Che siete ebrei?”. Gli risposi: “Ma che dici? Noi ebrei? Che dici?”. Con la mano presi una fetta di prosciutto, la misi in bocca, però questo benedetto prosciutto nella mia bocca non riusciva ad essere deglutito, non riuscivo a mandarlo giù. Nel frattempo ci fu un mitragliamento di aerei tra tedeschi e americani, per cui tutta la camerata, tutti i ragazzi, andarono sul terrazzo per vedere questo mitragliamento. Questo prosciutto che non eravamo riusciti ad ingoiare – io almeno, ma anche mio fratello – lo levammo dalla bocca e lo gettammo in un vaso di fiori, nascondendolo.

D. – Anche i suoi genitori si salvarono…

R. – Esattamente. Mio padre, avendo delle buone amicizie in campo ecclesiastico, lui, insieme alla moglie e al bambino piccolo che era appena nato – perché è nato nel 1943 –, riuscì ad entrare a San Pietro dove si è salvato.

D. – Quali sentimenti prova oggi, ripensando a padre Cubbe e a quegli uomini di Chiesa che si sono spesi per aiutarea rifugiarsi tanti esponenti della comunità ebraica…

R. – Oltre che un riconoscimento, un grande affetto, perché ci hanno trattato a livello umano come gli altri. Facevano tutto ciò che un genitore poteva fare per i propri bambini.

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29 gennaio 2019, 06:30