Fisco sotto accusa: miliardari sempre più ricchi nel mondo
Roberta Gisotti - Città del Vaticano
Un mondo diviso tra una manciata di individui sempre più ricchi, con patrimoni personali oltre che societari spropositati, avvantaggiati da tassazioni di favore e da pratiche elusive, che accumulano ricavi e profitti in quantità smisurata e scalano le vette delle Borse mondiali, dominando infine il mondo intero.
E’ questa la fotografia scattata dall’organizzazione internazionale Oxfam nel rapporto “Bene pubblico o ricchezza privata?â€, consegnato oggi ai leader della politica e dell’economia mondiali convocati nella cittadina svizzera.
26 super ricchi possiedono quanto 3,8 miliardi di poveri
Crescono i miliardari, uno ogni due giorni nell’ultimo anno e la ricchezza accumulata dai megamiliardari (1900) è aumentata - tra marso 2017 e marzo 2019 – di 900 miliardi di dollari, vale a dire 2 miliardi e mezzo al giorno. Cosicché oggi 26 super ricchi - erano 43 nel 2017 - possiedono quanto la metà più povera della popolazione dell’intero pianeta, 3 miliardi e 800 milioni di persone, di cui massima parte - 3,4 miliardi - vivono in povertà estrema, con meno di 5,5 dollari al giorno.
Donne sempre più svantaggiate e povere
Gli uomini possiedono il doppio della ricchezza delle donne e controllano quasi il 90 per cento delle aziende nel mondo mentre le lavoratrici guadagnano oltre i 20 per cento in meno dei colleghi maschi. Ad esempio negli Stati Uniti gli uomini single bianchi possiedono una ricchezza 100 volte superiore a quella delle donne single ispaniche. Le donne si caricano inoltre di massima parte del lavoro domestico non retribuito e di cura delle persone - bambini, anziani e malati - in ambito familiare. Se a svolgere queste mansioni fosse un’impresa avrebbe un volume d’affari annuo di 10 mila miliardi di dollari, oltre 40 volte quello di Apple.
Servizi pubblici sottofinanziati e privatizzati
Nel mondo, ancora oggi, 10 mila persone muoiono ogni giorno per mancanza di accesso ai servizi sanitari. 262 milioni di bambini non accesso all’istruzione.
Leggendo questo rapporto la tentazione è di scoraggiarsi, la forbice tra ricchissimi e poveri si è fatta perfino più ampia, dopo decenni di incontri e dibattiti internazionali, di programmi e attività delle agenzie umanitarie governative non e di promesse mancate degli Stati rispetto agli obiettivi di sviluppo fissati delle Nazioni Unite.
Che cosa chiede l’Oxfam ai leader della politica e dell’economia mondiali convocati a Davos? Di porre fine alla privatizzazione dei servizi pubblici, di rafforzare la protezione sociale, a partire dalle donne e anzitutto di varare misure di giustizia fiscale, come sottolinea Misha Maslennikof, ricercatore e analista dell’Oxfam
R. - L’invito alle istituzioni è quello di promuovere un dibattito pubblico e istituzionale che possa portare a ricalibrare il carico fiscale, spostato profondamente negli ultimi anni dalla ricchezza – patrimoni, redditi e capitali – verso redditi da lavoro e dai consumi. Questo va chiaramente reinvertito con un intervento sostanziale: porre fine alla corsa al ribasso sulla fiscalità di impresa, di cui l’estrema rappresentazione è raffigurata dai paradisi fiscali societari, che permettono di trasferire a grandi soggetti societari, grandi multinazionali, ingenti profitti e registrarli in giurisdizioni dal fisco ‘amico’ o giurisdizioni che hanno regimi fiscali privilegiati o agevolati.
Come è possibile quanto voi documentate, che il 10 per cento più ricco paghi di tasse meno del 10 per cento più povero? Letto così sembra una follia, possibile che i governi abbiano perso di vista il buon senso?
R. – Stiamo parlando di una statistica riferita a due Paesi nello specifico, il Brasile e il Regno Unito. E parliamo della contribuzione fiscale non solo sui redditi ma anche della contribuzione fiscale indiretta, ovvero delle imposte su beni e servizi, sui consumi. Quindi complessivamente le imposte sul reddito e sui consumi, l’iva, pesano, in proporzione al reddito, molto di più per le persone più povere. Questo effettivamente è emblematico di quanto il carico fiscale sia sbilanciato.
Un altro tema strategico è quello dell’elusione fiscale, di cui si sono avvantaggiati negli ultimi 10 anni soprattutto i cosiddetti ‘giganti’ del web.
R. – Non soltanto i ‘giganti’ del web. In realtà le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva riguardano quasi tutte le grandi corporation. Nel nostro Rapporto stimiamo che tra il 2000 e il 2016 l’aliquota effettiva per 90 corporation sia passato dal 34 al 24 per cento circa. Come è possibile tutto ciò? Attrvaerso diversi marchingegni, artifici contabili, con l’abuso dei prezzi di trasferimento, ovvero i prezzi che le grandi corporation praticano per compravendite di beni e servizi infragruppo, oppure per una strutturazione di grandi imprese che in qualche modo fissano e localizzano le società del gruppo, da loro controllate, a maggior valore aggiunto - se vogliamo - le casseforti finanziarie, in giurisdizioni dal fisco ‘amico’: bhè, è molto semplice avere la possibilità di trasferire profitti realizzati nei Paesi a medio-alta fiscalità, dove l’impresa generalmente conduce la propria attività produttiva economica, in Paesi dal fisco molto molto blando. Un fenomeno che costa ai Paesi di tutto il mondo tra i 100 e i 240 miliardi di dollari l’anno di introiti mancanti: risorse chiaramente significative per il potenziamento di politiche di welfare e di lotta alla povertà.
Voi avete speranza che questo Rapporto abbia l’attenzione dovuta ai tavoli di Davos?
R. – Speranze ci sono sicuramente. Ci sono stati forti avanzamenti normativi anti elusione fiscale e societaria in Europa negli ultimi anni. Non sono stati ancora completati e c’è ancora molta discussione su dossier importanti, come quelli dell’armonizzazione della fiscalità d’impresa nel nostro continente e sulle proposte di tassazione di nuove forme di economia digitale. Su questo registriamo un ritardo, su cui pesa chiaramente un’Unione europea che rappresenta sì, se vogliamo, uno spazio comune economico – un mercato comune – ma in cui i Paesi membri si fanno ancora un’agguerrita concorrenza fiscale l’uno con l’altro. Se parliamo di paradisi fiscali societari, non dobbiamo andare lontano ad immaginarci isolette esotiche o località lontane, ma ne abbiamo anche all’interno dell’Unione euroepa: Paesi come il Lussemburgo, l’Irlanda, i Paesi Bassi, Cipro o Malta.
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