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Giornalismo sotto attacco Giornalismo sotto attacco 

Informazione sotto attacco nel mondo intero

Aumentano le vittime in nome della stampa libera nel mondo. Lo documenta il rapporto annuale dell’organizzazione non governativa Reporter senza frontiere (Rsf). Intervista a Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Il 2018 è stato un anno nero per la stampa. Reporter senza frontiere denuncia l’uccisione fino ad oggi di 80 giornalisti in tutto il mondo, sperando che la lista non si allunghi nel periodo natalizio. Un dato in crescita rispetto ai 65 operatori dell’informazione che hanno perso la vita nel compimento del loro lavoro nel 2017.

80 operatori dei media uccisi nel 2018

Tra le vittime di quest’anno vi sono 63 giornalisti professionisti, 13 giornalisti non professionisti e 4 collaboratori dei media. Gran parte delle vittime si sono registrate in  sei Paesi: 15 in Afghanistan, di cui 9 nel doppio attentato a Kabul del 30 aprile; 11 in Siria; 9 in Messico; 6 in India; 6 negli Stati Uniti, di cui 4 nell'attacco del 28 giugno contro la redazione del Capital Gazette, ad Annapolis nel Maryland, per mano di un uomo, condannato per stalking, che si era sentito diffamato dagli articoli del giornale.

Violenza senza precedenti contro la stampa

“Una violenza senza precedenti” contro la categoria, si legge nel rapporto annuale di Rfs: oltre 700 i giornalisti professionisti uccisi negli ultimi 10 anni, in massima parte “deliberatamente presi di mira e assassinati”, come l'editorialista saudita Jamal Khashoggi, ucciso il 2 ottobre scorso all'interno del consolato di Riad ad Istanbul e come il giornalista slovacco, Jan Kuciak, trucidato nella sua abitazione il 21 febbraio scorso.     

In aumento le detenzioni nelle carceri

Nel 2018 è aumentato anche il numero di giornalisti detenuti:  348 rispetto a 326 nel 2017, oltre la metà incarcerati in soli cinque Paesi: Iran, Arabia Saudita, Egitto, Turchia e Cina.

Cresce l’odio dei potenti verso i giornalisti

"L'odio verso i giornalisti proferito e persino sostenuto da leader politici, religiosi o uomini d'affari senza scrupoli ha conseguenze drammatiche sul terreno, e si traduce in un aumento preoccupante delle violazioni", ammonisce Christophe Deloire, segretario generale di Rsf. Sotto accusa anche i “sentimenti di odio” diramati in rete dai social: "portano – dichiara Deloire - una pesante responsabilità in questo senso”, “legittimano la violenza e indeboliscono, ogni giorno di più, il giornalismo e con esso la democrazia".  

[ Audio Embed Ascolta l'intervista a Giuseppe Giulietti]        

Queste morti sono un segnale che deve allarmare l’opinione pubblica sul ruolo della stampa, sotto attacco in diverse forme in così tanti Paesi, dichiara Beppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi)

R. – Assolutamente deve allarmare perché c’è un progetto ideologico che punta alla scomparsa del giornalista, delle inchieste, del pensiero critico. Naturalmente, poi, c’è il terrorismo, l’integralismo, le guerre, le mafie, le camorre: tutti costoro hanno bisogno dell’oscurità per consumare i loro affari e quindi vedono nel cronista un nemico. I cronisti, oggi, sono sotto tiro perché rappresentano delle luci nei luoghi dell’oscurità: è questa la ragione dell’aumento dei colleghi ammazzati.

Una responsabilità ce l’ha anche la pubblica opinione: nell’era di internet e dell’informazione ‘fai da te’ spesso si avverte una certa insofferenza verso i giornalisti, ritenuto un mestiere sorpassato nel comune sentire, sovente umiliato nella considerazione sociale

R. – E’ un’insofferenza, tuttavia, alimentata dall’alto, da quelli che oggi si chiamano ‘i nuovi populismi’, che in realtà sono le vecchie oligarchie che hanno bisogno di parlare dal balcone telematico senza avere le domande, senza avere degli intrusi, senza avere delle inchieste; hanno bisogno di un luogo nel quale non si eserciti il contrasto della bugia. La pubblica opinione è influenzata da questo, ma c’è anche una parte della pubblica opinione che incomincia a reagire. Guardi, a me pare che la risposta l’abbia data il Pontefice, Francesco, nel suo messaggio sulle comunicazioni sociali, dove sposta la nostra attenzione sull’educazione dei singoli, verso la capacità di sviluppare un pensiero critico, verso la capacità di porsi domande. Dobbiamo lavorare di più in questa direzione per un’alleanza con il cittadino, che ha il diritto ad essere informato. Il cittadino è un alleato del giornalista, non un nemico.

Il messaggio del giornalista dev’essere anche difeso dai governi che abbiano l’esatta percezione dell’importanza di questo mestiere, e anche dagli editori

R. – Certamente sì: gli editori si preoccupano molto poco della qualità; se invece c’è un futuro per il giornalismo è d’investire nella qualità, è investire nel lavoro, ridurre il numero dei precari, dare certezza alle colleghe e ai colleghi, molti dei quali sono più esposti nelle zone della mafia e della camorra. I governi hanno un’intolleranza crescente: in queste ore, in Italia si sta discutendo di chiudere il fondo dell’editoria, di colpire centinaia di testate, tra queste l’Avvenire, il Manifesto, Radio radicale, ed è un principio veramente pericolosissimo perché nel mondo dell’informazione le voci si aggiungono e non si chiudono. Non è un caso che il presidente della Repubblica Mattarella per sette volte abbia dovuto richiamare l’attenzione sull’importanza della libertà di informazione. Proprio per questo anche in queste ore siamo andati a manifestare davanti alle Camere per chiedere di bloccare questo per noi scellerato provvedimento.

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18 dicembre 2018, 13:40