Settimana della famiglia: pellegrinaggi e accoglienza dei giovani in cammino
Claudia Valenti – Città del Vaticano
Riflettere sulla profondità dell’esperienza del pellegrinaggio e sul valore dell’accoglienza: questo lo scopo dei "Giovani in cammino sulle strade", l'iniziativa organizzata allo Spedale della Provvidenza di San Giacomo e San Benedetto Labre, un tempo un orfanotrofio, oggi luogo di accoglienza con 24 posti letto, per i pellegrini che, arrivati a Roma a piedi, chiedono ospitalità. L'evento, a cura della Confraternita di San Jacopo di Compostela, ha visto la partecipazione di Don Paolo Asolan, docente alla Pontificia Università Lateranense, Giuseppe d’Andrea, membro e coordinatore dei volontari della Confraternita, Emma Ciccarelli, presidente del Forum Famiglie Lazio, e Giuseppe Desideri, presidente nazionale dei Maestri Cattolici Italiani.
Il significato del pellegrinaggio
“La storia dei pellegrinaggi in Europa e in Italia è molto antica” racconta a Pope Giuseppe D’Andrea. Un pellegrinaggio non è un semplice cammino, un percorso su strada, ma prevede di camminare verso una meta santa. Ne esistono molti, come quello di Santiago de Compostela, o quello della via Francigena se si rimane in Italia. “Camminare è un esperienza molto profonda da un punto di vista individuale”, continua D’Andrea. C’è chi inizia un pellegrinaggio a causa di un lutto, per un forte dolore o per una grande gioia, oppure c’è chi lo fa per ritrovare se stesso, o chi ha la necessità di chiedere una grazia. “Ma camminare è anche un modo per incontrare gli altri. Si incontrano diverse persone e ci si ritrova in una situazione in cui viene spontaneo raccontare loro quello che si ha dentro”. “E’ stupefacente - sottolinea ancora D'Andrea - che ci si ritrovi a parlare di cose così intime, che nemmeno gli amici più fedeli conoscono”. Don Paolo Asolan sostiene che sia la fatica del camminare ad “abbattere le difese del pellegrino” e a indurlo a vivere solo ciò che è essenziale. “A quel punto l’essenziale emerge ed è possibile condividerlo con gli altri”.
La relatività delle distanze
In un cammino non ci sono regole da rispettare né distanze da percorrere obbligatoriamente. Camminare in un pellegrinaggio non è questione di chilometri o velocità, perché non è una gara. “Ognuno percorre la distanza che si sente di fare – sostiene D’Andrea – perché il cammino lo si fa prima di tutto con se stessi, quindi ciascuno sa quali sono i propri traguardi e i propri limiti”. Don Paolo Asolan, dal canto suo, racconta di aver visto e ospitato anche una serie di famiglie, che di solito “decidono di incamminarsi insieme, secondo un loro ritmo: questa estate ne avremmo avute tre o quattro, che hanno dormito e cenato qui con noi”.
Il valore dell’ospitalità e dell’accoglienza
L’accoglienza sulle vie di pellegrinaggio e alla meta è una risorsa essenziale: una via di pellegrinaggio è tale solo se viene sorretta da una struttura ospitaliera. “C’è stata, nel tempo, una moltiplicazione di vie e di tracciati – racconta Don Paolo Asolan - ma laddove non aderivano a una tradizione storica e dove non era sorto un sistema di accoglienza fondato sui valori del pellegrinaggio, le strade sono rimaste deserte o raramente frequentate”. Lungo il cammino, “ciascun pellegrino – spiega Giuseppe d’Andrea - può accedere ai punti di accoglienza tramite un documento, che si chiama credenziale”, su cui il pellegrino si fa mettere un timbro. “I luoghi di accoglienza hanno un livello di servizi essenziale - prosegue lo spedaliero - offrono un letto, una cena, una colazione e una doccia”. Ma questo basta per far sentire i pellegrini a casa. “Questi luoghi non hanno un prezzo, sono gratuiti. Ciò che chiediamo è un’offerta, che serve ad dare gli stessi servizi ai pellegrini che arriveranno il giorno successivo”.
Il momento della lavanda dei piedi
Senza ospitalità quindi, i pellegrinaggi non sarebbero possibili. Per questo l’accoglienza è un valore fondamentale per promuovere i cammini. “Il Signore stesso nel Vangelo ha affermato: chi accoglie voi, accoglie me (Mt 10,40)” sottolinea Don Paolo Asolan. E’ diffusa inoltre l’idea che tra coloro che chiedono ospitalità si possa trovare lo stesso Cristo della Regola benedettina, per la quale i monasteri dovevano accogliere i pellegrini, dividere con loro i propri beni, assegnare loro un luogo dove dormire e lavare loro i piedi. Lavarsi i piedi vuol dire essere arrivati finalmente a casa e potersi togliere le scarpe. “La lavanda dei piedi è un momento di profonda intimità - spiega Don Paolo Asolan - Chi lava si pone come ultimo, di fronte al pellegrino ospite, che invece è primo, e che quindi va rispettato e venerato”. I volontari dello Spedale della Provvidenza lavano i piedi ai pellegrini tutte le sere prima di cena. E’ un momento di ritiro, preghiera e condivisone. Si racconta agli altri il motivo del proprio cammino e ci si conosce, prima di ritrovarsi a tavola insieme.
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