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Media digitali e fine dello star system. Tv regina nei consumi

Presentato a Roma il 15mo Rapporto del Censis sulla comunicazione. La Tv resta protagonista nella dieta mediatica degli italiani, che sempre più sono connessi in rete. Intervista con Massimiliano Valerii, direttore generale dell’Istituto di ricerca che ha redatto lo studio

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Nuovi riti, tic, tabù nella vita digitale degli italiani. Gli utenti internet salgono al 78% - il 30 per cento in più in 10 anni – quelli che usano lo smartphone aumentano al 73% e quelli che frequentano i social arrivano al 72%, fra questi Whatsapp ne conquista il 67%, Facebook il 56% e You Tube il 51%.

Tv impera sugli altri media

La Tv resta comunque la regina dei media, cedono di poco quelle tradizionali, digitale terrestre (89%) e satellitare (41%) ma cresce la Tv in rete, web Tv e smart Tv salgono 30% e mobile Tv, che era appena all’1% nel 2007 arriva quasi al 26%. Aumentano pure al 17% gli utenti della Tv on demand, con punte del 29% tra i giovani sotto i 30 anni.
La Radio, che conta ancora su un utenza vicina all’80%, si attesta nel suo ruolo primario di ibridazione tra i vari media, vale a dire che il lieve calo dell’ascolto tradizionale (67%) - specie con l’autoradio - è compensato dall’ascolto on line con pc (17%) e  smartphone (20%).

Il declino di libri e giornali

In forte declino si conferma tutto il settore cartaceo. Se i lettori di quotidiani sono risaliti di 1 punto e mezzo nel 2017 sono però quasi dimezzati in 10 anni, dal 67% al 37%. Perdite non compensate dalle testate on line che nello stesso periodo sono passate dal 21% al 26%. Da rilevare però che altri portali web d’informazione sono consultati dal 46% degli italiani. Restano poco letti ma stabili i settimanali al 30% e i mensili al 26%. E scendono ancora i lettori di libri: solo 4 italiani su 10 ne leggono almeno uno l’anno. E pochi restano i lettori di ebook, in calo e solo all’8%.

Triplicano gli smartphone

Riguardo i consumi spiccano gli acquisti di smartphone, triplicati dal 2007, con 6,2 miliardi di euro spesi nell’ultimo anno, ma anche acquisti di pc cresciuti del 50%. In totale i costi sostenuti per cellulari, servizi di telefonia e traffico dati sono stati di 23,7 miliardi di euro.

Messaggiare meglio che telefonare

Tra le nuove abitudini spicca quella di inviare messaggi di testo anziché telefonare, lo fa il 60% di chi possiede un cellulare e il 30% li manda vocali. O anche di controllare le notifiche appena svegli e prima di addormentarsi, un rito che accomuna metà degli italiani, così pure di controllare più volte al giorno le previsioni meteo. C’è poi l’ansia condivisa dal 37% di cercare subito una risposta in rete quando non si ricordano date, nomi, eventi…
Un altro aspetto particolare riguarda la comunicazione tra cittadini e istituzioni o Stato. C’è una spaccatura a metà tra chi giudica l’uso dei social in politica “utile” e “prezioso” e chi lo ritiene “inutile” e perfino “dannoso”.

La consapevolezza degli italiani

Ma quale consapevolezza hanno gli italiani della dieta mediatica digitale che hanno adottato? Sono preoccupati dei cambiamenti nella loro vita quotidiana, delle dipendenze on line, dei mutamenti nei rapporti sociali. Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis parla di una paura che sovrasta tutte le altre:

Ascolta l'intervista a Massimiliano Valerii

R. – Nella classifica dei problemi dell’era digitale, gli italiani collocano al primo posto come fenomeno più preoccupante gli atti di violenza, d’intimidazione o di violazione della privacy, che a causa di internet e dei social network possono accadere. È in assoluto il fenomeno che preoccupa di più, proprio perché si ha la percezione che possa impattare sulla propria vita quotidiana; per cui, ad esempio, c’è molta meno preoccupazione rispetto ai ritardi che il nostro Paese ha in termini di infrastrutture tecnologiche oppure si ha meno sensibilità rispetto ad un problema come la tutela del diritto del copyright.

C’è un aspetto in particolare che mette in luce il rapporto: la fine dello ‘star system’

R. – È un effetto di questo lungo processo di disintermediazione digitale, che ha caratterizzato tutti questi anni, che ha posto al centro del sistema mediatico il singolo utente, l’individuo. Il divismo aveva impregnato tutta la cultura di massa del Novecento, e i miti e i divi avevano rappresentato, per quella società italiana che cresceva, si emancipava, dei modelli a cui in qualche modo ispirarsi. C’era un meccanismo sociale di proiezione, di imitazione. Oggi, in qualche modo, i divi non esistono più perché ciascuno di noi, grazie ai social network, può, ogni giorno, fare un casting personale: il payoff di Youtube dice: “Broadcast yourself”. ‘Uccidere’ i divi e smitizzarli nel disincanto del mondo significa accorciare quell’arco proiettivo e d’aspirazione che invece nella società dei decenni passati aveva svolto un ruolo molto importante.

Sono ‘morti’ i divi che per qualche motivo lo diventavano, e sono invece ascesi gli influencer che sono dei divi costruiti a tavolino

R. – Sono dei divi costruiti da sé. Più che divi, sono delle celebrità che si misurano in base al numero dei like e dei follower. Più che delle stelle sono delle meteore, anche perché spesso scompaiono nel giro di qualche mese o di qualche anno, ma sicuramente non rappresentano più dei modelli a cui ispirarsi. Oggi, soltanto un italiano su dieci ritiene che quelle celebrità siano dei modelli a cui ispirare la propria vita.

Però, dal punto di vista del mercato significano molto

R. – Oggi il divismo si risolve quasi esclusivamente nel box office mentre in passato i divi rappresentavano dei modelli sociali.

C’è la percezione che gli italiani abbiano degli anticorpi contro una dipendenza eccessiva da questa vita digitale?

R. – Intanto quest’anno constatiamo, per esempio rispetto all’informazione, un cambiamento significativo. È diminuito per gli italiani l’appeal dell’informazione online, nel senso che tornano con una rinnovata importanza i telegiornali, la carta stampata, i giornali radio: cioè dei mezzi rispetto ai quali si nutre maggiore fiducia e si ritiene che siano più affidabili. Probabilmente ha pesato molto il dibattito sulle fake news, e alcuni scandali, come ad esempio quello di Cambridge Analytica e la profilazione degli utenti in maniera illecita; e quindi c’è un ritorno, ed è la prima volta che lo registriamo, ai mezzi di informazione professionali e autorevoli.

 

 

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11 ottobre 2018, 14:12