Brasile: dopo il voto la Chiesa è preoccupata per indigeni e poveri
Silvonei Protz - Città del Vaticano
In un intervista a Pope, il segretario della Conferenza episcopale brasiliana, mons. Leonardo Steiner interviene sul futuro del Paese dopo la vittoria al ballottaggio presidenziale di Jair Bolsonaro, eletto con circa il 55% dei voti, staccando di dieci punti il candidato della sinistra Fernando Haddad.
R. – La Chiesa ha fatto lo sforzo di aiutare le persone a riflettere per non essere, a volte, così violente nelle parole e nelle azioni. Ma mi sembra che il ballottaggio sia andato bene, nel senso che non si sono percepite violenze. Ma adesso è arrivato il momento di vedere cosa farà il nuovo Presidente. La questione, però, direi, non è solo il Presidente. In Brasile sono tre i poteri: la Corte Suprema, il Presidente e il Parlamento. Come agirà il Parlamento, come i senatori e i deputati? Il Presidente non è uno che possa fare quello che vuole. Abbiamo due altri poteri che anche aiutano a gestire il Paese, aiutano a costruire il Paese, a portarlo avanti. In questo momento, mi sembra che si debba aspettare un po’. Vediamo se Bolsonaro, che è stato eletto, se adesso anche nelle parole, se saranno parole più di prossimità o di pace, se sono parole di dialogo … vediamo cosa succederà. Anche se è capace di tendere la mano a tutte le persone. E’ evidente che la Conferenza episcopale è preoccupata perché le parole verso gli indigeni sono state troppo forti: abbiamo una grande preoccupazione per il futuro dei popoli indigeni. Siamo preoccupati anche per le parole rivolte ai per i Quilombole, che sono i discendenti degli schiavi che sono fuggiti all’interno del Paese al tempo della schiavitù, e anche per le parole che sono state pronunciate nei riguardi di alcuni partiti … Vediamo se adesso queste parole diventano un’azione o rimangono soltanto parole al vento. Ma la preoccupazione c’è, sì, perché siamo stati sempre accanto ai popoli indigeni, ai Quilombole, ai poveri. Aspettiamo che abbia rispetto per i più poveri, per i brasiliani che a volte non riescono a partecipare, ad avere un’opportunità nella società brasiliana.
Qual è il ruolo della Conferenza episcopale, della Chiesa in questo nuovo momento?
R. – Credo che in questo momento, dopo le elezioni, la Conferenza episcopale debba preoccuparsi di andare incontro a delle persone che sono disposte a vedere cosa si possa fare. Perché non è soltanto la società brasiliana che è stata divisa, ma anche le nostre famiglie. Mi sembra che [ci sia?, serva?] una parola, una specie di movimento nella società brasiliana per la concordia, per la riconciliazione, per la pace. La Conferenza episcopale mai ha avuto paura e credo che anche in questo momento dobbiamo andare avanti, portare avanti le cose ed essere disposti ad ascoltare, all’ascolto, al dialogo ma anche a vedere se riusciamo a mettere insieme tante persone o gruppi che pensano il Brasile un po’ più grande, un po’ più aperto, principalmente per dare voce a quelli che non ne hanno.
Anche durante la campagna elettorale, la Chiesa è stata bersaglio di tanti che l’hanno accusata di stare con un candidato o con l’altro; anche la stessa Cnbb (La Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile) è stata etichettata di essere “comunista” … che cosa c’è di vero, in questo?
R. – Non c’è verità: non importa se siamo chiamati comunisti o in un modo o nell’altro; questo non importa. Quello che importa è essere fedeli al Vangelo. Quello che importa è essere fedeli ai poveri. Quello che importa è essere fedeli a quella missione che Gesù ci ha dato: di essere custodi del popolo di Dio. Quello che dice Papa Francesco: qualche volta il vescovo deve andare avanti, qualche volta deve camminare nel mezzo, qualche volta deve stare dietro; indietro per difendere, in mezzo per ascoltare, avanti per guidare. E questo credo che sia la missione della nostra Conferenza episcopale, e vogliamo portarla avanti.
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