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Caritas e Bambin Gesù contro l'azzardo tra gli adolescenti

Una ricerca condotta dalla Caritas di Roma ha evidenziato la diffusione massiccia del gioco d'azzardo tra i giovani minorenni

Salvatore Tropea - Città del Vaticano

Due ragazzi su tre nella città di Roma gioca d'azzardo almeno una volta l'anno, mentre il 36,3% ha dichiarato di farlo abitualmente. Sono i dati allarmanti che emergono da uno studio condotto dalla Caritas di Roma su un campione di 1600 giovani romani, di età compresa tra i 13 e i 17 anni. Il gioco d'azzardo, quindi, che per legge è vietato ai minori, risulta essere parte integrante della vita di molti giovanissimi, che ne conoscono dinamiche e regole.

Televisione e smartphone, veicoli per l'azzardo

Il numero di minorenni che in Italia nel 2017 ha giocato d'azzardo è pari a 580 mila. Nella realtà romana i giochi, dal semplice gratta e vinci alle slot machine, sono conosciuti anche solo per sentito dire dalla quasi totalità degli adolescenti. Il gioco è legittimato, come afferma Elisa Manna, responsabile del Centro Studi della Caritas di Roma, soprattutto dalla pubblicità televisiva, dal comportamento di parenti e amici adulti e sempre più spesso ci si accosta alle scommesse attraverso gli smartphone, quindi per mezzo di strumenti difficilmente controllabili da parte degli adulti che dovrebbero vigilare. Dai dati, infatti, emerge che i ragazzi romani conoscono il gioco d’azzardo tramite la pubblicità in Tv (80,6%), oppure dalla pubblicità online (67,3%) o si sono imbattuti nell’azzardo nei bar (64,8%).

Scommesse sportive e gratta e vinci i più frequenti

Secondo gli intervistati, i giochi maggiormente praticati tra i minorenni sono le scommesse sportive (oltre l’88%), seguite dai Gratta e vinci (il 48%) che risulta più praticato dalle ragazze rispetto agli uomini. Inoltre, un altro dato allarmante è quello riferito al cosiddetto “azzardo di prossimità”, ovvero la possibilità di trovare giochi e anche in luoghi insospettabili come uffici postali, supermercati, edicole, autogrill, centri aggregativi e ristoranti, oltre al fatto che moltissimi adolescenti hanno un luogo di gioco a circa 5 minuti di distanza dalle scuola. Il gioco d’azzardo finisce così per essere visto dagli adolescenti come un qualcosa di “legittimato, normale e accettato dalla società”, spiega Elisa Manna. Quasi il 90% dei ragazzi, infatti, “definisce l’azzardo come un’attività in cui si utilizza del denaro per vincerne altro, affidandosi alla fortuna, ma nessuno o quasi nessuno lo concepisce come un momento di svago, di rischi e di pericolo”. È eloquente, dunque, come tutto sia concentrato sul tema del denaro e del guadagno facile.

Perdere il controllo di se stessi

Giocare d’azzardo si trasforma molto facilmente in una dipendenza, cioè quando “chi gioca perde la capacità di controllare volontariamente i propri comportamenti e non riesce più a stabilire e rispettare un limite di tempo e denaro da impiegare”, come afferma Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù. L’unico scopo dei giocatori diventa quindi la ricerca compulsiva dell’attività che genera piacere. Come le altre dipendenze, anche quella da gioco è caratterizzata da elementi ricorrenti: il craving, il desiderio improvviso e incontrollabile di giocare; l’astinenza, sensazione di irrequietezza associata a sintomi fisici e psicologici se non si riesce a giocare; l’assuefazione, la necessità di aumentare progressivamente la quantità di tempo dedicato al gioco. Caratteristica specifica dei giocatori patologici, infine, il gambling, ovvero la tendenza a sovrastimare la propria abilità di calcolo delle probabilità e a sottostimare l’esborso economico che porterà ad una vincita.

Prevenire il problema in famiglia

L’attenzione da parte della famiglia è fondamentale per cogliere tutti i segnali che indicano una possibile dipendenza. Tra questi, l’interesse continuo per il gioco d’azzardo, le ridotte capacità di controllo sul tempo dedicato a questa occupazione, il disinteresse per lo studio e per le altre attività ricreative, il calo della resa scolastica, le frequenti assenze ingiustificate, l’ansia, l’irritabilità, gli atteggiamenti aggressivi non motivati, i disturbi del sonno e l’insorgere di comportamenti fino a quel momento considerati inusuali come mentire ripetutamente o rubare in casa. In questo contesto diventa quindi importante, sottolinea Stefano Vicari, “aiutare l’ambiente famigliare e anche gli insegnanti a scuola nel far comprendere ai giovani i pericoli, anche molto gravi, della dipendenza”. Tra i possibili interventi terapeutici specifici, dunque, anche quelli di psicoterapia individuale, soprattutto nelle situazioni più critiche.

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26 giugno 2018, 14:55