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Ricordare non è un evento burocratico

Umberto Curi sulla Giornata della Memoria: "essere attenti a non trasformarne il significato profondo è il modo migliore per tutelare la memoria di ciò che è accaduto"

Emanuela Campanile  - Città del Vaticano

"Perdere il senso" di qualcosa di tragicamente immenso, qual è appunto ciò di cui dovremmo fare memoria oggi, per il filoso e docente universitario Umberto Curi significa correre il grande rischio che la storia si ripeta. E "per quanto sembri deprimente", prosegue nella sua analisi il professore, essere "coscienti del male di cui siamo capaci", ci rende vigilanti. Ma come si può rendere davvero vivo il ricordo?

R. - Io temo che ci possa essere un pericolo anche nelle celebrazioni che hanno scelto come data simbolo il 27 gennaio. E cioè, la diffusione di una sorta di atteggiamento burocratico, di assuefazione generalizzata, nella quale abbiamo perso il senso della enormità - cioè di qualcosa che è aldilà di ogni norma - dell’evento di cui oggi si fa memoria. È, credo, una delle possibili conseguenze di una generalizzazione e diffusione delle informazioni. Questa sorta di rumore di fondo, che oramai accompagna molto spesso anche notizie particolarmente significative, ha indotto a perdere il senso di qualcosa di smisurato qual è – appunto – ciò che dovremmo ricordare. Da questo punto di vista, io credo che sarebbe molto importante che la Giornata della Memoria non scadesse a pura e semplice ripetizione rituale di manifestazioni celebrative, ma potesse essere un’occasione per interiorizzare davvero la consapevolezza di quanto grande – di quanto tragicamente grande – sappia essere anche il male di cui siamo capaci. Credo che essere attenti a evitare di trasformare il significato profondo di questa Giornata, sia anche il modo migliore per tutelare la memoria di ciò che è accaduto.

D. – Cosa rende libero un uomo di fronte alla propria storia e alla storia della propria nazione?

R. – Credo che si debba essere consapevoli di ciò che troppo spesso siamo invece indotti a dimenticare: il fatto che l’uomo è capace anche di forme di malvagità che troppo spesso non abbiamo il coraggio di riconoscere. Forse, una manifestazione di libertà passa anche attraverso questa presa di coscienza che dovrebbe consentirci di essere vigilanti laddove si manifestano forme che possono condurre a ciò che avremmo desiderato poter considerare irripetibile ma che, invece, incombe come una possibilità ancora concreta.

D. - Da parte dei più giovani, secondo lei, c’è "un calo di coscienza" di fronte alla storia?

R. - L’esperienza che ho del rapporto con i giovani, che incontro soprattutto attraverso l’insegnamento universitario, è di per sé positiva. So che, tuttavia, possono essere considerate anche condizioni privilegiate e quindi potrebbe essere temerario generalizzare. Si tratta, comunque, di trovare il modo di comunicare con i giovani che incontri, una potenziale disponibilità al dialogo che non radicalizzi le difficoltà della comunicazione spesso relegate a differenze generazionali che sono, a loro volta, espressione di differenti esperienze compiute. Non aver conosciuto la guerra, neanche nelle sue propaggini, può talora condurre i giovani a sottovalutare le conseguenze di una diffusione della violenza al di là di ogni limite. Da questo punto di vista, direi che tale situazione “fortunata” dei giovani, può renderli a volte insensibili a cogliere i pericoli e i rischi che nascono da fenomeni con i quali si può esprimere la violenza.

Ascolta e scarica l'intervista a Umberto Curi

 

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26 gennaio 2018, 11:49