RD Congo, i ribelli avanzano verso il Sud Kivu. La Chiesa: rispettate la vita umana
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Meno di duecento chilometri separano Goma da Bukavu, il Nord Kivu dal Sud Kivu, dove i ribelli dell’M23 si stanno dirigendo proseguendo senza sosta il loro cammino di conquista, dopo aver preso e superato la città chiave di Goma, capoluogo di circa due milioni di abitanti e sede di organizzazioni internazionali e istituzioni Onu. Ora continuano l’offensiva per ampliare il loro controllo sull’intera area. Kinshasa nulla ha potuto di fronte alla evidente superiorità dell’M23, sponsorizzato, è la denuncia dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Rwanda che nega qualsiasi sostegno ai ribelli, mentre diversi funzionari Onu dichiarano che quattromila soldati ruandesi si troverebbero nel Paese.
Le accuse a Kigali
Il presidente congolese Felix Tshisekedi ha annunciato una risposta militare "vigorosa e coordinata" contro i ribelli del Movimento 23 Marzo, denunciando allo stesso tempo la "passività" della comunità internazionale di fronte alla presenza di "migliaia di soldati ruandesi" nel Paese e il coinvolgimento di Kigali nello "sfruttamento illegale delle risorse naturali" del Congo orientale, ricco di minerali di giacimenti, il cui valore è stimato in 24.000 miliardi di dollari. Nel suo appello alla nazione, il presidente si è rivolto al popolo, al quale ha chiesto di “resistere” e di “contribuire allo sforzo bellico”, e poi ai giovani, invitandoli ad arruolarsi nell’esercito che, nel Nord Kivu, indebolito anche dal ritiro di centinaia di mercenari stranieri, si è arreso ai ribelli. M23 ha intanto dichiarato di voler istituire una nuova amministrazione a Goma e di voler riportare gli sfollati nelle loro case, abbandonate da centinaia di migliaia di abitanti nel tentativo di sopravvivere ai combattimenti.
La posizione del Rwanda
Il presidente del Rwanda, Paul Kagame, si dice pronto al confronto, in vista anche del possibile contraccolpo internazionale già annunciato dalle critiche piovute su Kigali, come quelle di Germania e Gran Bretagna, che stanno minacciando una marcia indietro sul fronte degli aiuti. Oggi a Kinshasa è arrivato il ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot per incontrare Tshisekedi, dopo che due giorni fa, sempre nella capitale, manifestanti avevano attaccato sia l’ambasciata francese, sia quelle di altri Paesi per il presunto sostegno a Kigali.
La testimonianza del missionario
“Nessuno immaginava che potesse accadere questo”, racconta ai media vaticani fratel Adolphe Mulengezi, missionario della Consolata, studente della comunicazione al Salesianum di Roma. La sua famiglia è divisa tra Goma e Bukavu e da giorni lui non ne ha notizie. “La popolazione è chiusa nelle case, si ha paura di uscire perché ci sono i ribelli. Le vittime sono i più deboli, mamme e bambini, che non riescono ad arrivare né a cibo né a medicine. C’è una insicurezza insopportabile. Nei giorni scorsi ci sono stati bombardamenti che hanno anche ucciso bambini, una bomba è caduta sul reparto di neonatologia dell’ospedale, come denunciato anche dal vescovo della città Willy Ngumbi Ngengele”. E proprio il vescovo oggi ha lanciato l’appello affinché si garantisca alla popolazione “l'accesso ai servizi di base”, evitando “il flagello della violenza sessuale, che così spesso accompagna i conflitti armati'' e assicurando ''l'assoluto rispetto da parte di tutte le parti, e in ogni circostanza, per la vita umana''.
La speranza negli appelli del Papa
La situazione a Goma è estremamente grave e complica ulteriormente una situazione umanitaria che era già oltre il limite, dichiara Jean Francois Basse, rappresentante ad interim dell'Unicef nel Paese: "Le persone sono state esposte a eventi traumatici, hanno fame, sete e sono esauste. Elettricità, acqua e internet sono stati tagliati. È difficile stabilire davvero quanto i bambini e le loro famiglie stiano soffrendo”. “Non è una condizione umana, ci vuole un rapido sostegno, se si continua così le persone moriranno chiuse nelle loro case”, conferma fratel Adolphe che, sulla scia dell’appello del Papa all’udienza generale di ieri 29 gennaio, per la pacificazione nella Repubblica Democratica del Congo, ricorda quando nel 2022 Francesco visitò la capitale Kinshasa, facendo sperare nella salvezza del Paese. “Noi – spiega il missionario – in quel viaggio vedemmo la mano di Dio. Quando disse: ‘giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo’, noi vedemmo la speranza che non si poteva deludere”. “Ciascuno di noi deve portare la sua pietra per costruire l’edificio della pace”, è la sua conclusione, con una invocazione alla comunità internazionale affinché non rimanga inerte di fronte “alla gente che sta morendo, perché non si guardi a quanto accade senza fare niente”.
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