Il metropolita Anastas, la sapienza al servizio della Chiesa e dell'uomo
Giovanni Zavatta - Città del Vaticano
C’è qualcosa di molto più significativo, gratificante, completo di una mera coesistenza, seppur armonica, ed è una comunione di persone. La trasformazione avviene per amore: «È l’amore che rimodella un essere umano da individuo a persona e la tradizione cristiana è fondata su questa convinzione. La relazione di Dio con il mondo, in particolare con l’umanità, è infatti una relazione di amore che tende a creare comunione». In Coexistence, tradotto in italiano dalla Comunità di Bose (Edizioni Qiqajon) con il titolo Vivere insieme. Il contributo delle religioni a un’etica della convivenza, c’è gran parte del pensiero, non solo teologico, dell’arcivescovo Anastasios (in albanese Anastas), morto sabato scorso ad Atene all’età di 95 anni.
Un uomo saggio, di pace e dialogo, costruttore di ponti, dentro e fuori il mondo ortodosso. Una voce autorevole e rispettata. Sulla base di questi principi, condannando il veleno dell’egocentrismo (nemico numero uno della coesistenza creativa), non nascose l’amarezza per l’assenza di alcune Chiese al Concilio panortodosso organizzato dal patriarca ecumenico Bartolomeo a Creta nel giugno 2016. E pochi anni dopo, sempre in nome dell’unità, non mancò di lanciare appelli contro la polarizzazione ecclesiale che rischiava di sancire uno scisma in seno all’ortodossia mondiale, esortando a non tradire mai il comandamento della conciliarità. E infine il dolore per gli ortodossi di Russia e Ucraina coinvolti in una guerra fratricida ancora in corso. «È nostro comune dovere — scriveva il primate della Chiesa ortodossa albanese che risollevò dalla persecuzione dopo decenni di ateismo di Stato — non arrenderci a una passiva osservazione e descrizione delle conseguenze di una globalizzazione della corruzione, dell’ingiustizia e della violenza, ma, al contrario, lottare per una globalizzazione della pace, della solidarietà e dell’amore». Non utopia, piuttosto un sogno per il quale vale la pena combattere, come emerge dalle sue innumerevoli pubblicazioni.
Se l’ecumenismo di Anastasios si espresse formalmente — per citare solo alcuni degli incarichi internazionali — da vicepresidente della Conferenza delle Chiese europee (dal 2004 al 2013) e come uno dei presidenti del Consiglio ecumenico delle Chiese (dal 2006 al 2013), il mandato missionario universale di essere discepolo inviato dal Risorto, per andare in tutto il mondo e proclamare il messaggio del Vangelo, ha intriso ogni istante della sua esistenza.
Grazie ai molti anni di ricerca in Germania sulla storia delle religioni (dall’induismo al buddhismo, dal confucianesimo al taoismo, alle credenze tradizionali africane), dopo aver studiato e vissuto con persone di altre fedi, dopo aver imparato il rispetto per la diversità delle tradizioni spirituali dei vari popoli, le loro lingue e culture, Anastasios Yannoulatos fu pronto per l’Africa orientale dove mostrò tutte le sue qualità missionarie riorganizzando parrocchie e comunità, aprendo scuole e centri sanitari. «Un pioniere dello spirito missionario nella Chiesa ortodossa», lo definì il cardinale Kurt Koch, presidente dell’allora Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, nella laudatio pronunciata il 14 febbraio 2020 nella cattedrale di Aquisgrana durante la cerimonia di conferimento a sua beatitudine del premio “Klaus Hemmerle” (del Movimento dei Focolari) in riconoscimento dell’eccezionale impegno in favore della tolleranza reciproca e della riconciliazione tra le Chiese cristiane, così come del dialogo islamico-cristiano. «La volontà di Dio, così come rivelata e compiuta in Gesù Cristo, deve essere proclamata in ogni estremità della terra, in ogni angolo del mondo.
L’arcivescovo Anastasios non solo insegnò e predicò questa convinzione, ma soprattutto la visse», sottolineò Koch.
Presidente onorario dell’organizzazione internazionale “Religions for Peace”, co-fondatore, nel 2007, e poi presidente del Consiglio interreligioso d’Albania, per il quale svolse un ruolo chiave, di grande equilibrio, nel rafforzare il rispetto reciproco e l’armonica coesistenza («che non significa uniformità, appiattimento di ogni differenza, ma valorizzazione dei diversi carismi», diceva); promotore della collaborazione fra le tre accademie di teologia del paese (islamica, cattolica, ortodossa) per dare l’opportunità a studenti e insegnanti di scambiare idee e sviluppare progetti comuni.
Conosceva (e amava) troppo bene l’essere umano Anastasios, tutti gli esseri umani, per non dedicare a loro ogni istante della sua sapienza, sotto qualsiasi forma, in una quotidiana, costante ricerca della comunione: «Benedetti — diceva — quanti lavorano per la pace nel luogo in cui sono e dovunque sulla terra essa è minacciata, per il rispetto effettivo dell’ambiente naturale, per il contenimento fino all’eliminazione della povertà, per la lotta contro la violenza e la neutralizzazione del terrorismo, per l’affermazione dei valori spirituali che trovano il loro coronamento nell’amore».
Sia il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, sia il patriarca di Mosca, Kirill, in messaggi distinti ne ricordano «l’inestimabile contribuito all’ortodossia mondiale, alla missione cristiana e alla sua testimonianza contemporanea, attraverso il dialogo intercristiano e interreligioso, la lotta per la pace e la riconciliazione e la promozione della Scienza Santa» nonché «l’autorevolezza, la preziosa esperienza, il rapporto fraterno, l’incolmabile perdita». I funerali di Anastasios si sono tenuti giovedì 30 gennaio alle ore 11 nella cattedrale della Resurrezione di Cristo a Tirana.
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