Il vescovo anglicano Ernest: l'ecumenismo, un ideale non da contemplare ma da vivere
Marie Duhamel - Città del Vaticano
Questa sera saluterà Roma e i suoi fratelli nella fede, tra cui diversi cardinali della Curia romana, durante la celebrazione dei Vespri in programma oggi pomeriggio nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, nel giorno in cui la Chiesa ricorda la conversione dell’Apostolo delle genti, per la solenne conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani alla presenza del Papa, cui prenderà parte anche una rappresentanza della comunità anglicana. Il vescovo anglicano Ian Ernest si appresta a rientrare alle Isole Mauritius, di cui è stato a capo della Comunità locale dal 2001 al 2019, anno della sua nomina da parte di monsignor Justin Welby.
L'ex arcivescovo di Canterbury lo aveva designato come suo rappresentante personale presso la Santa Sede e direttore del Centro anglicano a Roma. "Sono stato profondamente influenzato - racconta ai media vaticani - durante i miei studi in Inghilterra dal libro 'God of surprises' del gesuita Gerard W. Hughes. Devo dire che la mia nomina a Roma e il fatto di essere stato chiamato a servire quanto detto da Cristo alla vigilia della sua morte, ‘che tutti siano uno', è stata davvero una bellissima sorpresa".
"Chi sono io per compiere questo lavoro?"
Una sorpresa che ha una radice più antica. Durante l’infanzia, Ian Ernest ha frequentato una scuola cattolica il cui cappellano è diventato amico di suo padre, anch'egli pastore. "Mio padre fu il primo a celebrare in una chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II", racconta il vescovo anglicano, per cui l'ecumenismo "non era una novità per me, ma ha plasmato la mia vita”. Poi, durante i suoi diciotto anni di episcopato ha sviluppato relazioni privilegiate con il cardinale Maurice Piat, vescovo cattolico di Port-Louis. Un rapporto che ha favorito il suo approdo a Roma dove monsignor Ernest si è detto sorpreso e anche, confessa, impressionato nel dovervi "incarnare la presenza visibile della Comunione anglicana" al servizio dell'ecumenismo. Il ministero del vescovo anglicano si è sviluppato in tre fasi. Anzitutto ha desiderato incontrare coloro che condividevano la sua stessa passione, "riguardo a quel Dio rivelato in Gesù Cristo e di cui siamo chiamati a portare la presenza nel mondo". E da questi incontri "radicati nell'amore di Cristo, il che – dice - consente di superare le differenze", emerge un'accoglienza che, se reciproca, offre la possibilità di fare spazio all'altro. "Il primo a riconoscermi è stato Sua Santità in persona, il 13 ottobre 2019 sul sagrato di piazza San Pietro per la canonizzazione di un ex sacerdote anglicano diventato cattolico, cardinale e santo della Chiesa (John Henry Newman)", ricorda l'arcivescovo anglicano.
Il pellegrinaggio di pace a Juba
Il legame instaurato tra il Papa e il rappresentante anglicano del Primate della Comunione anglicana si è consolidato, così come l'amicizia tra il Santo Padre e Justin Welby, eletto nello stesso anno. "In quanto rappresentante personale dell'arcivescovo di Canterbury", spiega monsignor Ernest, "dovevo essere in grado di comunicare la sua visione, affinché lui e il Papa potessero diventare insieme dei fari di speranza in un mondo frammentato ma assetato di pace e giustizia". Il "pellegrinaggio di pace" compiuto nel 2019 nel Sud Sudan con il moderatore della Chiesa di Scozia, alcuni anni dopo il ritiro dei leader sud sudanesi in Vaticano, rimane per lui "un esempio concreto di speranza" e "della loro visibile collaborazione" per "instaurare il regno di Dio". L'ecumenismo, un ministero da vivere
A Roma, gli incontri si sono moltiplicati, in particolare presso il Centro anglicano. Ogni settimana alle celebrazioni eucaristiche del martedì hanno partecipato diversi vescovi cattolici, tra cui cardinali come anche il segretario di Stato Parolin e il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionale Gallagher, oltre ad altre autorità cristiane. Si sono anche rafforzati i legami con le istituzioni accademiche di Roma, nonché con l'Istituto cattolico di Parigi e l'Istituzione protestante di Francia. "Ho imparato a comprendere - afferma monsignor Ernest - che l'unità dei cristiani non è un ideale da contemplare, ma è un ministero da vivere".
Un'esperienza piena di gratitudine
"Ricco" viene definito il dialogo avviato in occasione della preparazione del Sinodo sulla sinodalità con il cardinale Mario Grech e suor Nathalie Becquart, rispettivamente segretario generale e sottosegretario della Segreteria del Sinodo. Per il vescovo anglicano, che si dice felice del percorso sinodale offerto dal Papa, "la Chiesa non si ferma alla trasmissione di un insegnamento basato sulla dottrina, deve essere portatrice della Buona Novella che trasforma le menti". Al Centro anglicano sono invitati rappresentanti ecumenici ogni giovedì. Insieme pregano, condividono un pasto e si scambiano opinioni. "Direi che questo riflette la missione stessa di Cristo: il cibo che unisce, la preghiera, la Parola che nutre e le conversazioni che danno una direzione a ciò che abbiamo in comune, servire Cristo". Non si tratta, sostiene, di un "ecumenismo ingenuo" - "ognuno porta ciò che ha, la sua conoscenza e la sua esperienza" - ed evidenzia anche che il cammino verso l'unità piena è un percorso costellato di ostacoli che richiede resistenza e pazienza. Lascia Roma con la gioia di aver toccato con mano “ciò che abbiamo di più grande da offrire alla Chiesa universale”, cioè “un nuovo volto”, da lui definito come “Fratelli tutti”. Lascia con “una parola incisa nel profondo del suo cuore”, la gratitudine.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui