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Padre Gigi Maccalli con un gruppo di persone di Bomoanga, la sua vecchia comunità Padre Gigi Maccalli con un gruppo di persone di Bomoanga, la sua vecchia comunità 

Maccalli rientra in Niger: torno libero, ma la pace è ancora in ostaggio

Un ritorno a casa. È il desiderio che il missionario, rapito sei anni fa nella sua parrocchia di Bomoanga e poi liberato in Mali, aveva dal giorno della sua liberazione. Da allora un cammino di discernimento lo ha portato ad una nuova missione: “aiutare i missionari perché diventino artigiani di pace”

Benedetta Capelli - Città del Vaticano

Il viso è più disteso, i segni di una prigionia lunga durata due anni sembrano scomparsi nel fisico, ma forse non nel cuore, di padre Gigi Maccalli. Le foto che arrivano dal Niger sono piene di luce, di calore e mostrano tutto l’affetto che tanta gente ha sempre nutrito verso il missionario, improvvisamente scomparso dalla sua comunità di Bomoanga la sera del 17 settembre 2018. In pigiama, senza telefono, era stato portato via e poi dopo un lungo viaggio in moto, nel deserto, con le catene ai piedi ha trascorso la sua prigionia piangendo, pregando e alla fine perdonando i suoi sequestratori. Un tempo sospeso ma anche fruttuoso che lo ha portato, come ha più volte detto, ad una nuova conversione.

Il missionario è tornato in Niger
Il missionario è tornato in Niger

Nei suoi racconti lucidi, pieni di amore per un Dio vicino, per l’uomo della Croce che ha sentito accanto, c’era sempre un pensiero per la sua comunità in Africa, lasciata troppo in fretta. Ogni volta che si prospettava l’ipotesi di tornare per un saluto accadeva qualcosa che stravolgeva i piani, a pesare soprattutto la grande insicurezza che ancora oggi vive il Niger ad un anno dal golpe militare.

Quel giorno è arrivato

Nulla però è a caso. Padre Gigi torna nel suo Niger il 17 settembre scorso, nello stesso giorno del suo rapimento avvenuto sei anni prima. Ad accoglierlo, racconta a Fides, una abbondante pioggia e le parole di affetto di padre Mauro Armanino, suo confratello e voce decisa e ferma che, più volte a Pope durante il sequestro, ha raccontato l’impegno e la dedizione in terra nigerina di padre Gigi. “Bentornato nella tua casa. Non sei mai stato assente da questa terra. Grazie per aver contribuito a tenere il cielo attaccato alla terra come i rami che sfidano il vento e la tempesta”. Poi finalmente l’abbraccio del missionario con la sua comunità e l’ordinazione, il 21 settembre, di tre nuovi sacerdoti che aveva seguito nel loro cammino. Nell’omelia in lingua gurmancena, il giorno successivo in occasione della prima Messa dei nuovi sacerdoti, padre Gigi ha ricordato che il suo sogno era di vedere un giovane di Bomoanga celebrare la Messa, “avrei detto come il vecchio Simeone al tempio: ‘ora lascia, Signore che il tuo servo vada in pace’. Questa parola – racconta - si è realizzata ben oltre le mie aspettative”.

Padre Gigi insieme ai giovani sacerdoti di Bomoanga
Padre Gigi insieme ai giovani sacerdoti di Bomoanga

Riannodare il filo spezzato

Sono passati alcuni giorni, la notizia del “ritorno a casa” di padre Gigi Maccalli arriva un po’ come un fulmine a ciel sereno. Lo sapevamo al freddo dell’Irlanda e invece si ripresenta al mondo nel caldo del Niger. Uno scambio di messaggi su whatsapp per dare voce alla sua testimonianza.

Cosa significa tornare a casa dopo l'esperienza del rapimento, della liberazione, della maturazione di quanto accaduto?

Tornare a casa significa abbracciare, piangere insieme e poi ridere. È un misto di contatto fisico, respiri, sguardi e parole che si articolano per monosillabi e tanta tanta commozione. Sì ho desiderato tanto tornare da loro per dire semplicemente con la mia presenza: “è stata lunga ce l’ho fatta, ce la potete fare anche voi perché so quanto è difficile e duro questo tempo che state vivendo”. L’insicurezza è cresciuta in Niger, molta gente della mia parrocchia di Bomoanga è sfollata dai propri villaggi che hanno dovuto abbandonare in fretta in seguito ad attacchi o perché direttamente minacciati da nuovi gruppi affiliati ai jihadisti. Tornare poi il 17 settembre, a sei anni di distanza dalla data del rapimento, è stato come chiudere quel tempo di assenza e riannodare il filo spezzato.

“Liberare la pace” è il titolo del tuo libro ma anche la tua nuova missione in una terra dove questa parola, come in altre parti del mondo, è diventata urgente, pesante e difficile. Come alimentarla?

Da quell’8 ottobre 2020 sento in me la missione di dover liberare la pace. Libero per liberare, liberare la pace. Io sono tornato libero ma la pace è ancora ostaggio dei violenti, non abbassiamo più le mani mentre la preghiera, il digiuno le marce ci richiamano a questo impegno che oggi è una priorità. Disarmiamo le parole che infiammano l’odio e le vendette, liberiamo il Vangelo della non-violenza, il Vangelo del dialogo, dell’incontro e del perdono. Il mio nuovo impegno in Benin oggi come accompagnatore spirituale dei giovani seminaristi della mia comunità della Sma, Società Missioni Africane, è quello di trasmettere ai missionari di domani parole di pace perché diventino artigiani di pace per un mondo nuovo.

Ascolta la testimonianza di padre Gigi Maccalli

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Padre Gigi Maccalli tra la sua gente in Niger
08 ottobre 2024, 11:49