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Etiopia, i danni della guerra dimenticata in Tigray

In oltre due anni di conflitto nella regione, il Kidane Mehret General Hospital, gestito da una missione di suore salesiane con l’appoggio del governo, è l’unico presidio rimasto indenne. Ai confini con l’Eritrea, ad Adwa, sostiene giovani madri, ripara le ferite di donne vittime di abusi. È integrato con un progetto agricolo che cerca di sfamare chi non ha mezzi di sopravvivenza, compresi i numerosi rifugiati, e con l’attività scolastica portata avanti per tutelare contro ogni discriminazione

Antonella Palermo - Città del Vaticano

Vite bruciate perché valgono meno della polvere. Accade in Etiopia, Paese dove la puntata di oggi vuole tornare a riservare attenzione, dato che la guerra in Tigray (un milione e 200 mila morti, anche se le stime ‘ufficiali’ parlano di mezzo milione), pur dichiarata finita - in effetti non si spara e non si combatte più per le strade – ha generato tuttavia una scia di danni tali che la situazione è di totale default e si teme anche la ripresa del conflitto.

Un’economia in ginocchio

Fabbriche, case, ospedali, strade distrutti. Sono le macerie di una ‘guerra dimenticata’ che ha paralizzato una nazione spolpandola di energie, denaro, cibo, lavoro, mezzi primaria di sussistenza. Anche chi è sopravvissuto non sa dove andare. Soprattutto, il Paese non attrae investitori e quindi resta in ginocchio. Per fare un pieno di carburante si rischia di fare file di notte, se tutto va bene. Poiché è diventato troppo costoso, il governo federale sta premendo per compiere la completa transizione al green ma il paradosso è che la stessa corrente elettrica ha subito un rialzo dei prezzi del 4 mila percento. Il futuro è un enorme punto interrogativo anche per chi ha cercato miracolosamente di sostenere le spese diventate gigantesche.

Alcuni del personale sanitario
Alcuni del personale sanitario

Kidane Mehret General Hospital, migliaia di vite salvate 

Alcune strutture si attrezzano con i pannelli solari, affidandosi alla provvidenza. È il rischio che vale la pena correre per quelle sanitarie, la cui cessazione altrimenti manderebbe in tilt un sistema di cure che, pur precario, è indispensabile. Non solo per i locali, ma anche per i rifugiati eritrei e Amhara che hanno occupato i terreni fertili. Qui la gente è accampata sotto tende di plastica dell’Unicef, priva di tutto. Il Kidane Mehret General Hospital, ad Adwa, 70 mila residenti al confine con l’Eritrea, è l'unico presidio medico, considerato di eccellenza, rimasto indenne da bombardamenti e furti, che in 25 mesi di guerra ha soccorso non meno di 500.000 persone. Sostenuto dal governo regionale, riesce ad accedere alle poche risorse disponibili, farmaci compresi, con un aiuto anche da parte del Banco Farmaceutico di Torino. Sviluppato è soprattutto il reparto di neonatologia, dove le neo mamme vengono supportate anche nell’integrazione del latte, grazie a un progetto agricolo collegato - anch'esso rimasto miracolosamente indenne – che ne fornisce. Le donne sono infatti stremate, letteralmente prosciugate.

Le donne, vittime di abusi e discriminazioni

La mancanza di cibo affama tutti, giovani, anziani, ricchi, poveri. “Prima erano le pallottole ad uccidere e qualcuno riusciva a scamparle. La fame no, non si riesce a scampare, fa piazza pulita di tutto: è un disastro”, afferma suor Laura Girotto, missionaria salesiana in Tigray da oltre trent’anni, responsabile dell’ospedale. Il suo sguardo lucido è colmo di speranza, nella certezza che il progetto portato avanti in questa regione tormentata “è seguito dal Signore perché è fatto per i più poveri”. In ospedale arrivano centinaia di donne vittime di abusi sessuali; si cerca di provvedere chirurgicamente al loro recupero fisico ma molte restano sterili. La violenza sessuale c’è sempre stata, ma si è impennata durante la guerra. I racconti di atrocità indescrivibili verso i civili, anche l’evirazione dei maschi, sono all’ordine del giorno. Storie di donne, anche sposate, stuprate ripetutamente, con violenza inaudita, anche davanti ai figli.

Donne etiopiche
Donne etiopiche

“Nascere donna in Etiopia è una delle sfortune più grandi che possono capitare a una creatura”, confidano diversi operatori in Tigray. In quanto madri, si riesce ad avere un certo status sociale poiché si viene considerate produttive, ma in quanto mogli o sorelle o figlie non si vale nulla, si è solo uno strumento di lavoro, tanto che già dall’età di tre anni i minori possono cominciare a dare una mano alla famiglia. Il fenomeno delle spose bambine è dilagante e l’opera delle missionarie in ambito scolastico tende, in questo ambito, a salvaguardare la coesione tra fratelli e sorelle in modo da promuovere un futuro non troppo discriminante per le femmine.

Bambini scomparsi, un futuro mutilato

È proprio alla sorte dei piccoli che la missione rivolge, non senza apprensioni, gran parte degli sforzi. Sebbene le attività scolastiche siano ricominciate con entusiasmo, i libri di testo e la cancelleria non ci sono. Ogni centimetro di carta si usa, senza spreco alcuno. Quando non serve più per scriverci, la si pressa per farne blocchetti da dare alla gente per cucinare. Durante la guerra ragazze e ragazzi sono stati mandati dal governo a combattere. Dalle aule ad Adwa, 1700 allievi, sono partiti in 715, ne sono tornati poco più di 300. Svaniti nel nulla, senza più voce, senza più un corpo.

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17 settembre 2024, 12:01