Ucraina, tornare a scuola nonostante le bombe
Svitlana Dukhovych - Città del Vaticano
Bambini sui banchi di scuola in un'aula. Questa immagine, apparentemente familiare, in Ucraina evoca oggi emozioni particolari, soprattutto quando si tratta di minori vicini alle aree del fronte. Molti bambini, adolescenti e giovani ucraini sono stati privati di questa opportunità prima dalla pandemia e poi dalla guerra su larga scala. Dunque, quando per loro si materializza la possibilità di studiare di nuovo - non online, ma in presenza - significa che la vita, o almeno una parte importante, si sta riprendendo.
Pochi forse si aspettavano di vedere in questo periodo una foto di bambini seduti sui banchi di scuola a Zaporizhzhia, che dista circa 30 km dalla linea dеl fronte. L’immagine è stata scattata il 17 agosto 2024, quando monsignor Maksym Ryabukha, vescovo ausiliare dell'Esarcato greco-cattolico di Donetsk, ha inaugurato la prima classe della Scuola Cattolica di Don Bosco, che opererà presso la parrocchia di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso. È stato il parroco don Roman Vovk ha lanciare l’idea che sta realizzando insieme alla sua comunità. Di questa iniziativa e dei progetti per l'ulteriore sviluppo della scuola ha parlato in un'intervista ai media vaticani.
Creare la possibilità ai bambini di comunicare
Per spiegare cosa abba spinto all'apertura della classe, don Roman ha ricordato l'esempio di due ragazzi che frequentano il doposcuola per bambini in parrocchia: solo lì hanno scoperto di studiare da due anni nella stessa classe, ma siccome l’insegnamento avviene interamente online non si erano mai incontrati prima. Questo, ha sottolineato il sacerdote, dimostra che i bambini non hanno la possibilità di comunicare tra loro.
«Nel nostro centro per bambini ci sono molte attività - racconta don Roman - tra cui musica, danza, fitness, arte ecc. In totale, più di quattrocento bambini attualmente frequentano diversi corsi. Qui abbiamo anche un asilo e quest'anno i bambini del gruppo più grande hanno lasciato l’asilo e dovrebbero iniziare la scuola, però a Zaporizhzhia l’insegnamento è quasi interamente online, perché prima c'era la pandemia e ora la guerra, e i bambini non vanno più a scuola».
Il sacerdote osserva che sono stati gli stessi genitori a chiedergli di trovare un modo per organizzare una “vera†scuola per loro figli. L'anno scorso, per garantire più sicurezza ai bambini del doposcuola, la parrocchia ha iniziato a costruire un rifugio e poiché si è visto che poteva essere terminato entro settembre di quest’anno si è deciso di allestire anche una classe vera e propria, aprendo le iscrizioni per la prima elementare. «Così da settembre - spiega - i 25 bambini che si sono iscritti, potranno avere un insegnamento normale nella vita reale, con un vero insegnante, avendo l'opportunità di comunicare dal vivo e, soprattutto, in uno spazio sicuro».
Un'idea insolita in tempo di guerra
Il sacerdote greco-cattolico afferma che la prima elementare, che inizierà a settembre, sarà il primo passo nella costruzione della scuola cattolica di cui il sacerdote ha sempre sognato e che ha già iniziato a realizzare. «Mi sono reso conto che c'era tanto bisogno di una scuola cattolica nell'Ucraina dell'est – dice - e l'anno scorso abbiamo comprato un terreno vicino alla nostra parrocchia. Dovrebbe essere una scuola a tutti gli effetti che fornirà un'istruzione completa, a partire da quella prescolare. Quest'anno abbiamo iniziato pian piano i lavori. In effetti è una cosa molto difficile da realizzare, perché la costruzione è sempre un'impresa costosa. C'è bisogno di sostegno e ora, quando diciamo a qualcuno che stiamo iniziando a costruire una scuola a Zaporizhzhia, ci dicono: “Siete straniâ€. Ma io sono consapevole che quando la guerra sarà finita avremo bisogno di un'istruzione di qualità che per troppo tempo è stata distrutta, prima dal Covid e adesso dalla guerra. L'aggressore lancia continuamente razzi contro le istituzioni scolastiche: molte di esse sono state danneggiate e altre completamente distrutte. Ecco perché un domani avremo sicuramente bisogno delle scuole e una scuola non può essere costruita in un giorno. Così stiamo costruendo in vista del futuro».
Don Roman spera che gli attuali alunni di prima elementare riusciranno a continuare la loro istruzione nella nuova scuola e a conseguire tutto il ciclo degli studi: «Penso che ce la faremo. Non so come, ma ci credo molto. Penso che Dio ci aiuterà sicuramente».
Bambini di Zaporizhzhia
Il sacerdote ucraino afferma che a Zaporizhzhia vivono ancora molte famiglie con bambini. «Se all'inizio dell'invasione su larga scala alcuni residenti locali se ne sono andati, d'altra parte - riferisce - molte persone provenienti dai territori occupati (Melitopol, Berdiansk, Prymorsk, Enerhodar e altri) sono arrivate in città. Sono venute a Zaporizhzhia nella speranza di poter tornare presto, perché tutti pensavano che non sarebbe durata a lungo».
Anche se gli ultimi mesi a Zaporizhzhia sono stati più tranquilli rispetto a prima, c'è un pericolo costante di bombardamenti perché la linea del fronte è molto vicina e a soffrirne più di tutti sono i bambini. Don Roman racconta che alcuni di loro reagiscono in modo meno sofferto, altri in modo duro. A volte hanno paura di allontanarsi anche di pochi passi dagli adulti, oppure hanno reazioni forti ai suoni acuti della strada, come per esempio il rumore di una moto. «Questo è ciò che vediamo ora - afferma il sacerdote - ed è difficile dire quanto questo influirà sulla psiche dei bambini, quali conseguenze avrà. Ma posso dire con certezza che non è facile per loro».
Vivere in questa situazione non è facile nemmeno per gli adulti. Lo stesso don Roman dice di non aver fatto una sola vacanza dall'inizio della guerra su larga scala e ha viaggiato fuori dal suo esarcato solo poche volte per lavoro. «Devo ammettere che, da un lato, la mia mente mi dice: “Hai bisogno di riposartiâ€, ma dall'altro per varie ragioni non sono ancora riuscito a farlo, perché sento di dover essere presente qui e ora. In qualche modo riesco ad andare avanti». Ad aiutarlo sono la liturgia, le preghiere, la comunicazione con le persone, con gli stessi bambini che «regalano loro sorrisi in questo tempo buio di guerra». «Ti rendi conto - continua - che la loro infanzia non può assolutamente essere messa in pausa e allora ci sforziamo per offrirgli la possibilità di vivere almeno un po' la loro infanzia. Tutto questo aiuta ad adattarsi psicologicamente e uno capisce che riposerà dopo aver affrontato la sfida di questa fase».
La vocazione a servire la gente che ha sete dell’amore di Dio
Don Roman Vovk ha iniziato il suo ministero a Donetsk nel 2001, quando questi territori facevano parte dell'Esarcato di Kyiv-Vyshhorod che in seguito ha formato altre strutture, tra cui l'Esarcato di Donetsk-Kharkiv, a sua volta poi diviso negli Esarcati di Kharkiv e Donetsk. Il sacerdote greco-cattolico ha prestato servizio a Donetsk fino alla metà del 2014 quando la guerra l’ha costretto a lasciare la città. Non è tornato nell’Ucraina dell’ovest, da dove proviene, ma per un anno e mezzo ha svolto servizio a Kryvyi Rih e dal 2016 è parrocco a Zaporizhzhia dove vive con la sua famiglia, con la moglie e i quattro figli.
Spiegando la decisione di rimanere in queste zone tanto difficili, il sacerdote osserva: «Io sono della regione di Leopoli, mia moglie è di Ivano-Frankivsk (ovest dell’Ucraina) e quattro dei nostri figli sono nati a Donetsk. Non sappiamo cosa accadrà alla loro città natale, ma quando nel Duemila sono arrivato a Donetsk dall'Ucraina occidentale, ho visto lì tante persone assetate dell'amore di Dio e ho deciso che sarei rimasto lì. Non sento ancora di aver fatto ciò che avrei dovuto e voluto».
Dato che il pericolo di bombardamenti rimane alto a Zaporizhzhia, abbiamo chiesto a don Roman se avesse parlato con i residenti della possibilità di lasciare la città. Ci ha risposto che ogni famiglia prende questa decisione per se stessa. Ha raccontato il suo esempio personale: quando è scoppiata la guerra su vasta scala, sua moglie e suoi figli sono partiti per la regione di Leopoli, vi sono rimasti per tre mesi e poi sono tornati a Zaporizhzhia perché non volevano stare lontani dal marito e dal padre. «Siamo una famiglia - gli hanno detto - e dobbiamo stare insieme. Se tu resti, noi restiamo con te».
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