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L'arcivescovo Paolo Pezzi L'arcivescovo Paolo Pezzi 

Ucraina, Pezzi: a ogni orrore opporre un frammento di bontà

A due anni dall’inizio del conflitto, la riflessione dell’arcivescovo metropolita della Madre di Dio a Mosca: cambiare il cuore per diventare artigiani di pace

di Paolo Pezzi

Non sempre il ricordo dell’anniversario di un qualche evento è portatore di una qualche novità, spesso ci si limita a un ricordo, a una ricorrenza, ma senza coglierne o approfondirne il riflesso nell’oggi. Questo si acuisce come necessità quando l’evento di cui si ricorda l’origine è ancora in corso.

Non so quali potessero essere i sentimenti della gente in Europa in occasione del secondo anniversario dallo scoppio della prima o della seconda guerra mondiale, quello che vedo e che sento qui in Russia a due anni esatti da quel 24 febbraio 2022, con le diverse etnie che compongono i popoli di Russia e Ucraina, è una domanda latente di sapore biblico, che fino ad ora non ha avuto risposta: “fino a quando?”.

Va detto che la comunità cattolica in Russia è multietnica e multiculturale. Questo significa concretamente che a quella domanda occorre dare una risposta che tenga conto, almeno nelle nostre comunità, della convivenza non solo di russi e ucraini, ma anche di bielorussi, polacchi, lituani, tanto per citare solo i Paesi limitrofi.

Personalmente ho dedicato molto spazio al dialogo su questa dolorosa ferita nelle mie visite pastorali alle parrocchie. Nei primi mesi dopo l’inizio del conflitto abbiamo notato un crescente sentimento di odio, difficoltà a perdonare, rancore, rabbia e difficoltà a riprendere, a ricominciare. Poi hanno cominciato a diffondersi una certa rassegnazione, una difficoltà a fare piani per il futuro, e una qualche stanchezza. Il nostro contributo è stato quello di predicare il perdono e non chiudere mai al dialogo e all’incontro con l’altro, perché fino a quando ci incontriamo e ci parliamo possiamo sempre cercare e, lo voglia Dio, trovare delle strade di soluzione.

Oggi penso che quanto di più bello possiamo offrire sia l’umile certezza di stare in questa situazione, in questa circostanza in cui ci troviamo perché così portiamo un seme di speranza per tutti. Quando si “sta” con fede in Cristo Gesù in una certa situazione, magari non facile, allora si diventa una casa, dove è bello abitare, come mi è capitato di vedere ad Azer in Siria, in un monastero di Trappiste. Il semplice restare è divenuto fonte di speranza anche per altri attorno alle monache per costruire oasi di pace, di dialogo, di carità attiva tra le persone, anche di diverse etnie e credo religioso.

Nel tempo di attesa, protesi al Natale mi aveva molto accompagnato la lettura di un bellissimo libro dello psichiatra Borgna sull’amicizia. In particolare una citazione, tratta dal diario di Etty Hillesum, l’ho trovata ben descrittiva della situazione che viviamo, e indicativa per il discernimento in vista di quella prospettiva di “stare per portare speranza”: “La vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un frammento di amore e di bontà che bisognerà conquistare in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere”. 

Il cambiamento di prospettiva è dato dalla sorpresa di un pezzetto di amore e di bontà che si va allargando nel nostro cuore. Se non cambia il cuore, difficilmente potrà cambiare il mondo: e infatti il cuore dell’uomo è il mondo che prende coscienza di sé: i meravigliosi cieli del nord, le montagne e le valli del Caucaso, le immense pianure siberiane, ma anche i drammi dei profughi, dei migranti, delle vittime, persone e ambiente, dei crimini e degli orrori prendono coscienza di esistere nel mio cuore, e lo feriscono, non possono lasciarlo indifferente.

In questo modo diveniamo “artigiani di pace”, ma di una pace divina, artigiani della sola pace possibile, quella che viene dal Cristo risorto, non una pace mondana. La tragedia dei potenti di questo mondo consiste invece nell’accanirsi a ricercare, e, in fin dei conti, a “imporre” una pace mondana, terrena, nelle sue diverse, e, sempre più sofisticate, orribili varianti, sempre tragiche e tristi, che vede solo vincitori e vinti, umiliati e oppressi.

Ai crimini e agli orrori, che ahimè accompagnano in modo sempre più crescente la nostra vita, l’unica risposta possibile resta quella della Pasqua: il mistero dell’offerta, della croce, della resurrezione, della bellezza, della misericordia, della pace.

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24 febbraio 2024, 14:10