Pizzaballa: la violenza non risolve, serve libertà per il popolo palestinese
Michele Raviart – Città del Vaticano
"Ancora una volta, non è la prima e purtroppo temo non sarà l'ultima, assistiamo a un'operazione militare nella zona nord della Samaria, nel campo profughi di Jenin, intenta a colpire alcune cellule di resistenti palestinesi, resistenti armati". Il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Pierbattista Pizzaballa, parla così a Pope della violenza scoppiata a Jenin, dopo l'improvvisa operazione militare israeliana iniziata ieri. "Sappiamo che sono soluzioni temporanee - avverte Pizzaballa - cellule risorgeranno continuamente e finché non si risolveranno i problemi strutturali, soprattutto il primo, quello della dignità e della libertà e dell'autodeterminazione del popolo palestinese con un suo Stato, queste situazioni temporanee, dolorose, con tante vittime, continueranno dall'una e dall'altra parte".
In una nota diffusa sempre dal Patriarcato latino di Gerusalemme si legge che l’assalto dell’esercito israeliano a Jenin rappresenta una aggressione “senza precedenti”, con “atti barbarici” che distruggono anche luoghi sacri e annientano persone desiderose e meritevoli di una vita dignitosa. Il testo parla di “aggressione israeliana” durante la quale – si aggiunge – è stata colpita anche la chiesa e la comunità ecclesiale locale. Il comunicato si conclude con la supplica a un immediato cessate il fuoco e per por fine a “crimini ingiustificati”.
Sarebbero ormai circa tremila i palestinesi fuggiti dal campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania, a seguito dell'operazione militare israeliana. Dieci i palestinesi rimasti uccisi, sembra tutti giovanissimi, tra i 16 e i 23 anni, quattro probabilmente al di sotto dei 18 anni, tutti miliziani, secondo la versione degli israeliani. Il ministero della sanita' palestinese ha anche fatto sapere che nell'operazione, che va avanti da quasi due giorni, sono state ferite 120 persone, delle quali 20 versano in gravi condizioni. (AGI) Anche in questo caso, secondo l’esercito israeliano, tutti legati alle milizie. Le strade della città, contigua con il campo profughi, sono piene di macerie dopo i bombardamenti dei droni e sono stati segnalati danni ai negozi. Colonne di fumo sono state viste da questa mattina all’orizzonte, mentre il campo è privo di acqua e elettricità. I mezzi militari sono ancora nelle strade e, ha spiegato il sindaco di Jenin Nidal Al-Obeidi, chi è scappato ha trovato alloggio nelle case dei parenti e nei rifugi. L’operazione a Jenin, secondo Israele, è stata diretta contro “infrastrutture terroristiche” dove si pianificavano attacchi, usate come depositi di armi e come rifugi dai miliziani coinvolti in attentati. Il bilancio parla di almeno 8 palestinesi uccisi e una trentina di feriti, di cui sette gravi. La risposta palestinese non si è fatta attendere e oggi, a Tel Aviv, un giovane palestinese originario di Hebron, ha investito e ferito gravemente con la propria auto sette persone, prima di essere ucciso da un civile armato. Hamas e Jihad islamica hanno esortato i palestinesi a unirsi alla lotta dei miliziani di Jenin contro le operazioni militari israeliane.
Hamas rivendica un attentato a Tel Aviv
Si tratta della più importante operazione militare israeliana in Cisgiordania dai tempi della seconda intifada, nei primi anni del 2000, quando Jenin era uno dei focolai dell’attività militare palestinese. In queste ore centinaia di soldati stanno perlustrando l’area, sequestrando armi e facendo esplodere i tunnel utilizzati da sospetti miliziani, mentre a Tel Aviv un’auto si è lanciata contro i pedoni ferendo sette persone, di cui tre in modo grave. L’azione è stata rivendicata da Hamas, che ha parlato di un “eroico attacco” come “prima risposta ai crimini dell’occupazione" contro il popolo a Jenin. In tutta la Cisgiordania, intanto, i palestinesi hanno osservato uno sciopero generale di protesta contro l’operazione.
Padre Deibes: una situazione molto difficile
“In questi giorni le negoziazioni tra le due parti sono quasi assenti” racconta a Pope-Radio Vaticana padre Labib Deibes, parroco a Jenin. “Noi, nelle ultime 24 ore, abbiamo vissuto tempi difficili, una cosa molto simile a una guerra: esplosioni, aerei, carri armati, tutto contro il popolo palestinese, ossia contro alcuni giovani che hanno il diritto di difendere la loro terra. E quindi la situazione è stata molto difficile”, ha aggiunto, augurando “al popolo palestinese di riacquisire tutti i suoi diritti e di vivere in pace nella sua terra”. “Vogliamo aiutare gli abitanti di Jenin, prima con i soldi per riparare la distruzione che c’è stata, e poi facendo tutto il possibile affinché il popolo palestinese riacquisti tutti i suoi diritti, dopo averli riacquistati non ci serviranno più aiuti dall’estero e potremo vivere felici e liberi”, è l’auspicio di padre Deibes, che ricorda come il popolo palestinese, “abbia sempre vissuto grazie agli aiuti, ma noi non vogliamo elemosina, vogliamo i nostri diritti e se prendiamo i nostri diritti possiamo vivere e provvedere al nostro sostentamento da soli”. “Chiedo alla comunità internazionale”, è il suo appello, “di trovare una soluzione a questo conflitto che dura ormai da 75 anni, se questo conflitto si risolve non ci sarà più guerra e tutti vivranno felici e contenti”.
La condanna dell'Onu e di Medici senza Frontiere
Il presidente dell’autorità nazionale palestinese Mahmud Abbas ha chiesto all’Onu e alla comunità internazionale “di intervenire con urgenza per costringere Israele a fermare l'evacuazione degli abitanti". La portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Vanessa Huguenin, si è detta allarmata “per la dimensione delle operazioni via area e via terra” e “per i bombardamenti su un campo profughi densamente popolato”. L’ong Medici senza Frontiere lamenta degli impedimenti nell’assistenza sanitaria, con strade bloccate e ambulanze speronate dai mezzi blindati. “L’operazione ha già raggiunto la maggior parte dei suoi obiettivi e con meno resistenza o complicazioni secondarie di quanto previsto dall’intelligenze”, ha affermato il portavoce delle Forze di difesa israeliana, e “potrebbe concludersi nel giro di pochi giorni, ben prima del previsto”.
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