Cento anni fa l’agguato a don Minzoni, “martire dell’educazione dei giovani"
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“È riduttivo definire don Minzoni un martire antifascista. È piuttosto un martire del Vangelo e dell’educazione completa dei cristiani, dei giovani che gli erano affidati”. Così il cardinale Arrigo Miglio, arcivescovo emerito di Cagliari e già assistente ecclesiastico generale dell’Agesci, l’Associazione degli scout e delle guide cattolici italiani, sintetizza la figura e la testimonianza di don Giovanni Minzoni, sacerdote ravennate ucciso in un agguato fascista la sera del 23 agosto 1923, a soli 38 anni, ad Argenta, nel ferrarese, dove era parroco, per il suo magistero in favore dei giovani e della libertà dalle ideologie. Nel centenario del suo assassinio, le associazioni dello scautismo cattolico italiano, l’Agesci, la Federazione Scout d’Europa (Fse) e il Movimento adulti scout cattolici italiani (Masci), lo ricordano nel pomeriggio di venerdì 19 maggio, con un convegno dal titolo “Don Minzoni. Testimone per la libertà di educare. 100 anni dal martirio”.
Gli interventi del cardinal Miglio, Castagnetti e Pranzini
L’evento si tiene dalle 16.30 nella Sala capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria Sopra Minerva, sede della Biblioteca del Senato della Repubblica, con gli interventi del cardinale Miglio, su “Don Minzoni sacerdote e la sua testimonianza di fede”, Pierluigi Castagnetti, ex deputato emiliano, sul suo impegno nel sociale, come “testimone di servizio” e di Vittorio Pranzini, presidente del presidente del Centro studi scout Baden Powell di Firenze e studioso dell’opera di don Minzoni, sul suo rapporto con lo scautismo, definito “una scelta coraggiosa”. Il convegno, che vede la presenza dei presidenti nazionali di Agesci, Fse e Masci, si può seguire in diretta streaming .
Avvio della causa di beatificazione in diocesi
Le tre associazioni dello scautismo cattolico italiano sono anche le promotrici, insieme alla Diocesi di Ravenna-Cervia e alla parrocchia di Argenta, della causa di beatificazione del sacerdote nato nel 1885 a Ravenna, ed ordinato nel 1909, avviata a livello diocesano a fine marzo di quest’anno, dopo il nulla osta della Congregazione delle Cause dei Santi. Postulatore della causa è padre Gianni Festa, domenicano, già postulatore generale dell’Ordine dei predicatori. “Un parroco missionario tra i ragazzi e i giovani, grande esempio per noi oggi” lo ha definito l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, Lorenzo Ghizzoni. San Giovanni Paolo II, che pregò sulla tomba di don Minzoni, nel duomo di Argenta, nel settembre 1990, in un messaggio per i 60 anni della morte, ha invitato “i sacerdoti e i laici impegnati in ogni settore della realtà sociale, decisi a pagare costi anche elevati pur di recarvi la verità, la libertà e la carità del Vangelo”, a “trarre forti stimoli e sante ispirazioni dalla vita e dalla morte di don Giovanni Minzoni”.
Il ricordo dello scautismo cattolico italiano
Nella lettera del 23 agosto 2020, nella quale chiedevano all’arcivescovo Ghizzoni di avviare il processo diocesano di beatificazione, Agesci, Fse e Masci ricordano che, negli anni in cui il fascismo andava affermandosi “e soprattutto era intenzionato a mettere le mani sull’educazione dei giovani”, don Minzoni ebbe il coraggio “di fondare due reparti con 70 esploratori, condividendo i valori dello scautismo”, che portarono “al suo martirio”. Sensibile alle istanze di rinnovamento sociale del tempo, dopo il seminario si laureò in Scienze Sociali a Bergamo. Nominato poi parroco ad Argenta, un piccolo paese del Ferrarese, allo scoppio del primo conflitto mondiale partì come soldato e chiese di diventare cappellano militare, ottenendo anche una medaglia d’argento al valore militare. “Non era certo favorevole alla guerra ma – disse – voleva seguire i suoi ragazzi”, ricorda Vittorio Pranzini.
Nel giugno 1923 apre due reparti scout in parrocchia
Rientrato in parrocchia, promosse l’Azione Cattolica, il teatro per i giovani e una cooperativa per aiutare le donne nel lavoro. Attento alle trasformazioni sociali, si adoperò per contrastare la diffusione della mentalità fascista. “Don Minzoni non guardava alla tessera ma cercava di incontrare e aiutare le persone – spiega ancora Pranzini - Per questo, pur in un contesto socialista, riuscì a coinvolgere la gioventù. Ad Argenta i fascisti tentarono di lanciare i balilla ma non raccolsero adesioni”. In Emilia Romagna lo scautismo cattolico era nato nel 1916 grazie a don Emilio Faggioli, allora assistente regionale dell’Asci (l'Associazione Scouts Cattolici Italiani). Intravedendo le grandi potenzialità educative, don Minzoni fondò ad Argenta ben due reparti scout nel giugno 2023. “Fu un atto coraggioso – ricorda Pranzini - acquistò anche le uniformi per tutti e inviò alcuni giovani ai campi scuola per formarsi come educatori scout”.
Il cardinal Miglio: la sua spiritualità del sacrificio
A metà agosto si verificò un incidente tra un ragazzo capo squadriglia scout e un giovane fascista, e il giorno dopo iniziarono le minacce davanti alla canonica con inni fascisti a “san manganello”. La sera del 23 agosto don Minzoni fu colpito violentemente alla nuca e morì poche ore dopo l’aggressione. Indagini e processo furono condizionati dall’ascesa del regime, esecutori e mandanti rimasero impuniti. Della figura del sacerdote ravennate, “educatore alla spiritualità e al servizio nella società, per preparare i giovani a diventare cristiani completi”, abbiamo parlato con il cardinale Arrigo Miglio, primo dei relatori al convegno.
Che sacerdote è stato don Giovanni Minzoni, nei suoi 14 anni di servizio?
Nel mio intervento parto da una constatazione: credo che non esista in Italia una città dove non ci sia una via don Minzoni. Questo ha reso popolare il nome, ma non altrettanto popolare la vera fisionomia del sacerdote romagnolo. Le vie gli sono state dedicate sicuramente per la sua uccisione e per ciò che rappresenta da questo punto di vista. Ma nel convegno vogliamo mettere in evidenza soprattutto la sua figura di sacerdote, di educatore e anche di promotore di un gruppo scout ad Argenta. Guardando la figura del sacerdote, abbiamo il suo diario, abbiamo degli scritti lasciati anche dai suoi amici, contemporanei. Colpisce la coscienza che lui aveva, ancora in seminario e poi dall'ordinazione in avanti, del legame tra la figura del sacerdote e il sacrificio e il martirio. Questo in teoria lo studiamo sui libri, lui ce l'aveva in una coscienza davvero molto profonda e sentiva quasi un presentimento di quella che sarebbe stata la sua strada e il suo cammino. E questo è un aspetto importante, perché il suo martirio non è arrivato così all'improvviso. Lui era pronto, se lo sentiva arrivare, ma era una spiritualità che aveva coltivato fin dagli anni del seminario e della sua ordinazione.
Quindi, nonostante avesse questa precognizione, e sentisse questa “bufera” che stava arrivando, come scrisse nel suo diario, fino all'ultimo si è messo al servizio dell'educazione dei suoi ragazzi, non si è tirato indietro…
Lui aveva chiaro che la strada del martirio è, diciamo, “normale” per un sacerdote che vuole vivere pienamente la sua missione. Pensava ai martiri uccisi sull'altare durante la Messa, se ne parlava anche allora. E invece poi il suo martirio è avvenuto sulla strada e questa è un'altra parola chiave. Perché don Minzoni è stato un sacerdote fedelissimo, con questa spiritualità del sacrificio, della donazione, ma non è vissuto solo in chiesa e tantomeno in sacrestia, è vissuto sulla strada. La strada è un termine scout, ma non indica soltanto la strada scout. Mi ha molto colpito la sensibilità e la preparazione sociale che Don Minzoni si era fatta. Negli anni dal 1912 al 14, da giovane sacerdote, ha frequentato la Scuola sociale di Bergamo, la Bergamo del vescovo Radini-Tedeschi che aveva come segretario Angelo Giuseppe Roncalli. E credo che non ci sia da aggiungere molto. Era un'epoca particolare, per la crescita della sensibilità sociale nella Chiesa, la sua dottrina sociale, e lui, come educatore, ha sempre sentito di dover educare sì alla spiritualità, alla Chiesa, ai sacramenti, ma poi all'impegno nella società, nella strada. E questo ne fa una figura davvero completa come sacerdote e come educatore, ed è un po’ la radice, mi pare, del suo martirio. Lui non è scappato proprio per l'impegno di educare dei cristiani che vivessero pienamente anche il servizio alla società.
È stato definito spesso un prete antifascista, ma se oggi viene avviata la causa per la sua beatificazione, per iniziativa della Diocesi di Ravenna-Cervia e dello scautismo cattolico italiano, è stato piuttosto, diciamo, un sacerdote santo…
È stato un sacerdote santo e ha capito il veleno delle ideologie e uso il plurale perché non ha conosciuto solo il fascismo, ma anche un'altra ideologia (il comunismo, ndr) che dominava Argenta prima di coloro che lo hanno ucciso. E lui era impegnato in egual modo a far crescere dei cristiani che fossero liberi nei confronti delle ideologie, che fossero davvero a servizio del Vangelo, della Parola di Dio, della dignità della persona umana e della giustizia, ma assolutamente liberi dalle ideologie. Poi ha avuto le sue opposizioni sia prima e poi anche dopo, compreso il fascismo, che sono intervenuti nella maniera che sappiamo. Ma è molto importante capire che è riduttivo parlare soltanto di un martire antifascista. Don Minzoni è un martire del Vangelo e un martire dell'educazione completa dei cristiani, dei giovani che gli erano affidati.
E per seguire i giovani che gli erano affidati ha fatto anche il cappellano militare durante la guerra…
Proprio questo la dice lunga: lui era stato chiamato nella Prima Guerra Mondiale, come avveniva allora, e i sacerdoti di solito venivano mandati nella sanità. Ma lui ha chiesto di andare al fronte per stare vicino ai giovani. Questo gli ha portato anche delle conseguenze per la sua salute, ma ha sempre voluto rimanere in mezzo a quelli che lui riteneva giustamente i più poveri e quelli più in difficoltà. Senza nulla togliere al servizio sanitario che tanti altri sacerdoti hanno fatto. E poi alla fine è venuta questa sua scelta di costituire il gruppo degli scout cattolici…
Ecco, don Minzoni e lo scautismo. Non lo considerava solo un'iniziativa ricreativa per i ragazzi ma, come scrive Mario Sica, “la pietra angolare del programma di ricostruzione morale che voleva realizzare nella sua parrocchia”. Nel suo diario si diceva preoccupato per la giovinezza che “passa con un incoscienza spaventosa”…
Teniamo conto che lo scautismo era un'esperienza recentissima. Don Minzoni viene ucciso nel ‘23, e gli scout sono nati in Inghilterra nel 1908. In Italia arrivano qualche anno dopo, e dunque era un'esperienza molto nuova. È quindi interessante l'intuizione di don Minzoni, nel capire che questo metodo educativo e questa esperienza, pienamente recepita anche già in tante parrocchie in quegli anni, gli offriva una possibilità di un’educazione completa e integrale dei ragazzi. Non soltanto l'aspetto della pietà, le preghiere, ma l'aspetto della formazione del carattere, la cura del corpo, che dello scoutismo è anche molto importante, il saper vivere anche nel rispetto del creato e quindi credo proprio che abbia visto questa completezza di educazione che era quella che lui stava cercando e ha visto per i ragazzi un'occasione favorevole per prepararli a diventare dei cristiani davvero completi.
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