Crociata: l'unità dell'Europa minacciata, la pace è la sua vocazione originaria
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
La guerra in Ucraina e l’incapacità di avviare processi di pace, la mancanza di unità nella gestione dei flussi migratori, la grande sfida posta dalle transizioni ecologiche, demografiche e digitali. Sono alcuni dei punti che interpellano l’Unione europea e i Paesi che ne fanno parte al loro interno, così come esposti da monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina, eletto ieri presidente della Comece, la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità Europea. Crociata è ricevuto oggi in udienza da Papa Francesco con i membri del nuovo Comitato permanente. Dopo l'udienza, il presule è ospite degli studi di Radio Vaticana - Pope.
Eccellenza, come è andata l'udienza con il Papa?
È stato un momento davvero intenso, semplice, ma molto carico di contenuti emotivi, naturalmente, ma anche concettuali, per così dire, istituzionali. È interessante, cosa non accaduta in passato, almeno non di recente, è che alla elezione della nuova presidenza del nuovo Comitato permanente è seguita immediatamente l'udienza del Papa. Questo pone il nostro inizio di servizio non solo sotto un auspicio autorevole al massimo grado, ma anche sotto la luce di una relazione, di un messaggio e di un impegno profondamente condiviso. È stato un momento davvero bello, semplice, ma davvero ricco. Siamo andati i vescovi delegati, tutti presenti, il segretario, lo staff della segreteria e anche i familiari, alcuni familiari, dei membri dello staff della segreteria. C'era davvero un clima di famiglia, se vogliamo, rigoroso, serio, ma sereno e familiare.
Subito dopo la sua elezione, lei ha rilasciato alcune dichiarazioni anche di forte preoccupazione. Ha detto questo è un momento cruciale per l'Europa e per la Chiesa. Quali sono gli aspetti che più la preoccupano e che più preoccupano la Comece?
A me sembra che il motivo più urgente di preoccupazione sia la guerra in corso in Ucraina, con gli effetti destabilizzanti che ha sull’Europa, nel rapporto tra i vari Paesi. L'Unione europea, a dire il vero, ha trovato da subito una unità nella reazione nei confronti di questo dramma che si sta consumando ai confini, o nel cuore stesso, per certi versi, dell'Europa, quantomeno però questa unità è come minacciata dall'interno perché si incrocia –e qui dobbiamo citare altri motivi di preoccupazione – con una crisi sociale ed economica che stenta ad essere superata e che può costituire davvero fonte di tensioni anche tra Paesi o all'interno dei Paesi. A tutto questo si aggiunge un momento di trasformazione, di evoluzione, che tocca quelle che abbiamo chiamato le transizioni ecologiche, demografiche, digitali, che vedono, direi, un lento, ma inesorabile, sconvolgimento dello stile di vita, del modo di pensare e del modo di guardare alla costruzione comune dell'Europa e al suo futuro. Con questo non dobbiamo nemmeno pensare che ci siano solo aspetti negativi, però, certo, questi motivi di preoccupazione sono molto seri e possono, come sempre nelle crisi, prendere una direzione piuttosto che un'altra. Noi speriamo e ci adoperiamo, e con noi tanti altri soggetti, tante persone, perché la crisi sia superata nel senso del superamento delle difficoltà, delle fatiche, dei problemi.
Vorrei tornare al conflitto in Ucraina, perché è passato più di un anno, poco più di un anno, e la situazione purtroppo sembra peggiorare. Anzi, sta peggiorando. Quali sono i passi concreti da dover compiere per mettere fine a questo conflitto, passi che finora non sono stati ancora compiuti? Cos'è in realtà che frena il raggiungimento della pace?
È molto difficile dire quali passi bisogna fare dopo che abbiamo visto lungo quest'anno e oltre, tentativi di ogni genere e da ogni parte per cercare di creare dei contatti, aprire dei dialoghi, dare delle sollecitazioni. Le difficoltà sono davvero grandi, perché ci troviamo nel pieno di una invasione che ha già compromesso diversi territori. Ci troviamo di fronte a due Paesi che, in una collocazione molto diversa, di invasore e invaso, di aggressore e aggredito, non sembrano essere disposti a sentire ragioni ed è difficile pensare di poter avviare processi di pace se non si riesce in qualche modo a toccare e coinvolgere i due soggetti, ripeto, nella grandissima differenza della loro responsabilità e del loro ruolo nel conflitto. Per cui, quello che c'è da fare è incoraggiare, senza dubbio, tutti i tentativi di contatto, di dialogo, di incontro. Si tratta di dinamiche strettamente politiche. Ci sono protagonisti globali che hanno la possibilità di agire in questo senso, in questi giorni vediamo anche iniziative, e poi ci sono tanti altri soggetti che devono in qualche modo non stancarsi di far sentire questo bisogno, questa istanza, di trovare una via per fermare la guerra, per fermare il conflitto, per aprire un dialogo serio. Noi lo auspichiamo, preghiamo per questo e ci adoperiamo perché tutti i tentativi siano incoraggiati, sostenuti. Mi pare che il Santo Padre abbia veramente fatto di tutto, con una serie di interventi puntuali e innumerevoli, cercando di toccare le corde dei temi di fondo, dei cuori dei responsabili. Noi lo sosteniamo e ci uniamo al suo sforzo. Direi che parole e messaggi devono essere ancora lanciati, la solidarietà deve essere mantenuta e poi ancora, servono incoraggiamento e idee, se riusciamo a farle venir fuori, idee anche nuove, non dobbiamo arrenderci o stancarci in questo sforzo, ognuno secondo il proprio posto e capacità e responsabilità.
Un altro aspetto che interpella fortemente la coscienza dell'Europa è la questione dei migranti. L'ultima enorme tragedia è ancora presente, quella avvenuta a Cutro, non un dramma italiano, ma un dramma che chiama tutta l'Europa…
In questo giocano tanti fattori che comunque fanno emergere quella mancanza di unità di cui dicevamo all'inizio, in cui presunti interessi o orientamenti più o meno guidati delle opinioni pubbliche, portano i vari Paesi ad assumere posizioni differenti, a non permettere all'Europa di prendere una posizione unitaria. Qui giocano diversi fattori, una trasmissione di un messaggio, per certi versi propriamente sbagliato, da parte di politici e governi, che utilizzano il fenomeno migratorio per cause politiche a volte di corto respiro. E questo un po’ in tutti i Paesi europei. La prima cosa sarebbe rappresentare in maniera onesta la situazione migratoria, che non consente di ingigantire gli sbarchi, che sono una parte rilevante e sono soprattutto causa di drammi come quello di Cutro – e non soltanto perché non dobbiamo dimenticare i naufragi innumerevoli che sono capitati in questi anni con la morte di un numero di persone veramente impressionante – ma questo accesso non è l'unico e non è forse il principale dal punto di vista numerico. Si tratta di far capire la causa di questi fenomeni, ma anche le condizioni e le modalità dell'Europa, tutta Europa, di affrontare questo problema, perché al fondo io vedo una difficoltà, un problema sostanziale: la non volontà di gestire il problema in termini non strumentali, quando invece va affrontato oggettivamente. Quello che manca è la gestione del problema e una legiferazione, una serie di interventi giuridici e poi economici, che permettano di affrontarlo in maniera ordinata, perché noi ci troviamo di fronte al paradosso per cui abbiamo bisogno di immigrati e facciamo credere che invece gli immigrati ci stanno invadendo, cosa non vera. Qui si tratta di riportarci alla verità dei fatti, senza ignorare le difficoltà, e provare a dare una organizzazione ordinata sul piano nazionale ed europeo. E qui si pagano tutte le contraddizioni interne ai nostri Paesi e tra i Paesi. Credo che c'è uno sforzo grande da fare da questo punto di vista, perché non ci troviamo di fronte ad una minaccia di invasione, ci troviamo di fronte a un fenomeno mal gestito, disordinato, che crea drammi da una parte e dall'altra. Il nostro sforzo deve essere aiutare a rendersi conto di questo e a mostrare come possa essere un fatto epocale per certi versi, che potrebbe trasformarsi in una opportunità per l'Europa nei suoi rapporti con i Paesi di provenienza degli immigrati.
Eccellenza, guardando al di fuori dell'Europa la Comece ultimamente ha espresso la sua forte preoccupazione per quello che sta accadendo in Nicaragua e per ciò che sta accadendo nei confronti della Chiesa nicaraguense. La Santa Sede in quel Paese, tra l'altro, ha anche lasciato la missione diplomatica su richiesta del governo nicaraguense. Sappiamo anche che il vescovo di Matagalpa, monsignor Rolando Alvares, è stato condannato a 26 anni di prigione, ora di lui non si sa più nulla. Come guardare a quello che sta accadendo in questo Paese? La Comece ha lanciato un appello per la liberazione di Alvarez…
È chiaro che il nostro non è un rapporto diretto, almeno fino ad ora, con la questione, né c'è una competenza specifica. Però, ragioni di tipo umano ed ecclesiale, prima ancora che politico, ci rendono molto sensibili a quello che sta succedendo in Nicaragua. Possiamo solo esprimere grande preoccupazione e, direi anche, tristezza, per la piega che da un po’ di tempo sta prendendo la vita di questo Paese. Noi non possiamo fare altro che auspicare e tentare un dialogo, nonostante le porte chiuse che ormai a tutti i livelli ci si trova dinanzi. Tentare in tutti i modi di aprire un dialogo che non faccia sentire questo governo minacciato da chissà che cosa, ma faccia capire che invece c'è volontà di ricostruire un Paese in pace, unito, noi auspichiamo questo e preghiamo per questo. E devo aggiungere che tra i progetti internazionali della Comece, c'è anche l'apertura di un dialogo stabile, di un rapporto stabile, come con altre conferenze europee continentali, anche con il Celam e comunque con l'America latina e l'America centrale. Ecco, questo speriamo possa diventare anche un'occasione per fare di questa preoccupazione, di questo motivo di tristezza, una spinta a incoraggiare evoluzioni positive anche in quel Paese.
In conclusione, vorrei aggiungere un riferimento ancora all'incontro col Papa e vorrei chiudere con questo.
Prego...
Un incontro di cui abbiamo detto il clima, ma di cui dobbiamo, non meno, forse di più, sottolineare i contenuti di quanto il Papa ci ha detto che, come ho detto personalmente al Papa, diventano per noi punti di riferimento per il nostro impegno che è appena all'inizio. Le due parole chiave che il Papa ci ha affidato sono: unità e pace. L'unità dell'Europa che, come dicevamo, è minacciata in tanti modi e per tante cause, soprattutto questo momento. Un’unità che va cercata non cancellando le diversità. Il Papa, ha usato una bella immagine, come suo solito: le nazioni che compongono l'Unione europea sono come degli affluenti che fluiscono, che corrono, verso il fiume principale. Il fiume principale non deve chiudere agli affluenti, ma deve raccogliere l'acqua degli affluenti per fondere quest'acqua e farla diventare un unico corso vivo, forte, vigoroso. L'Unione europea ha bisogno di diventare qualcosa del genere, un'unità che sa raccogliere la diversità dei vari Paesi, superando i contrasti a cui queste diversità possono dar luogo. E poi la pace come vocazione originaria, perché l'Unione europea nasce come espressione di un bisogno incomprimibile di Paesi che si leccavano ancora, per così dire, le ferite drammatiche della seconda guerra mondiale. Bisogna sentire che queste ferite, in qualche modo, sono ancora un ricordo che ha bisogno di essere tenuto vivo per poter sentire l'urgenza e la serietà della pace come qualcosa di non scontato. E i pericoli che corriamo in questo momento, come dicevamo pure, ci ribadiscono questo impegno. Il Papa incoraggia fortemente anche lui a fare tutto quello che ci è possibile. Noi, grazie a Dio, grazie anche all'impegno che è stato profuso in questi anni, abbiamo stabilito molti dialoghi e qui mi piace ricordare il grande lavoro che hanno fatto, dopo tanti altri, il cardinale Hollerich e il Comitato permanente precedente, di cui pure ho avuto l'opportunità di fare parte. Un lavoro che il cardinale ha svolto in maniera straordinaria, e gli siamo molto grati, in direzione del dialogo e a favore dell'unità e della pace nell'Europa e grazie all'Europa in tutti i luoghi in cui c'è guerra e c'è bisogno di portare pace. Per cui raccogliamo veramente con grande consapevolezza questo messaggio del Papa e direi lo raccogliamo come indicazione programmatica per il nostro lavoro di questi anni che speriamo di portare avanti secondo la vocazione, la missione, della Comece che raccoglie questo cammino di Chiesa nell'Unione europea di tutti gli episcopati. Lo vogliamo portare avanti in piena comunione con il Santo Padre.
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