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Il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi Il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi

Comunione e Liberazione, Prosperi: presenti nel mondo con l'eredità di don Giussani

Intervista con il presidente: "La prima eredità che ci lascia don Giussani è la sua stessa vita, il suo metodo educativo proteso al riconoscimento, in ogni istante, della presenza di Cristo". Nel saluto introduttivo, prima del discorso rivolto dal Papa ai membri del movimento, il presidente della Fraternità ha sottolineato che il fondatore di CL è stato "un testimone della sete di Cristo per l’uomo"

Luca Collodi e Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano

Cento anni fa, il 15 ottobre 1922, nasceva nel comune lombardo di Desio  monsignor Luigi Giovanni Giussani, fondatore del movimento Comunione e Liberazione. In occasione di questo anniversario, Papa Francesco ha incontrato in Piazza San Pietro i membri del movimento. Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, nel saluto introduttivo ha sottolineato che "don Giussani ha acceso veramente un fuoco nella vita di migliaia di uomini e di donne, ha trasmesso il fuoco che è lo Spirito Santo, fuoco di conoscenza di Cristo e dell’uomo". Questo "fuoco è vivo" e il centenario della nascita di don Giussani, ha aggiunto, "ha suscitato tante iniziative, promosse con l’intento di allargare la nostra attenzione a quelle periferie del mondo". Nell'intervista rilasciata a Pope il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione si sofferma inoltre sull'eredità di don Giussani, sui frutti che i suoi insegnamenti continuano a generare.

Ascolta l'intervista a Davide Prosperi

Quale eredità lascia oggi don Giussani non solo alla Chiesa ma alla storia del nostro tempo? 

La prima eredità che ci lascia don Giussani è la sua stessa vita, il suo metodo educativo proteso al riconoscimento, in ogni istante, della presenza di Cristo. Per don Giussani è Gesù Colui che è capace di rispondere al nostro desiderio di vivere una vita piena. Questa era la sua convinzione, la certezza su cui ha scommesso tutto. Ha deciso di lasciare gli studi teologici, per i quali era molto portato, per impegnarsi nell’agone educativo, inizialmente nelle scuole e poi nelle università e fino a dare origine al movimento Comunione e Liberazione. Per noi festeggiare il centenario insieme con Papa Francesco è proprio l’occasione per ringraziare Dio del dono grande di don Giussani e del carisma che gli è stato affidato dallo Spirito. Questa gratitudine ci spinge dentro tutti gli ambiti della vita: celebrare il centenario non è certamente uno sguardo nostalgico verso il passato, ma uno sguardo sul presente e sul futuro. Don Giussani ci ha insegnato a domandare Cristo nell’ambito di una compagnia guidata come è la Chiesa. Don Giussani non faceva distinzione tra quelli dentro la Chiesa e quelli fuori. Il suo annuncio, la sua proposta umana e cristiana, la sua capacità di incontro era per ogni uomo. E noi non possiamo portare avanti la nostra storia senza avere lo stesso desiderio e lo stesso metodo. Certamente è un’eredità pesante, una eredità che rimarrà viva se continuerà a vibrare negli occhi di quanti sono afferrati dall’avvenimento di Cristo con la stessa speranza di bene che tutti attendono e che don Giussani ha intercettato in tanti giovani che poi hanno dato origine a questa storia.

Comunione e Liberazione è presente in moltissimi Paesi del mondo. Molti arrivano a Roma il 15 ottobre in occasione del centenario e dell’incontro con il Papa. Molti arrivano da 60 Paesi…

Questi 60 Paesi sono quelli da cui arrivano le persone del movimento che riescono ad essere presenti. Sono però complessivamente quasi 90 gli Stati collegati. Questa presenza è legata proprio alla preoccupazione di fondo di don Giussani e del movimento, che è sempre stata quella di educare adulti alla fede e, quindi, presenti dentro il mondo, la società. Questo è primo principio di missione. Il movimento si è diffuso, negli anni, da persona a persona attraverso incontri umani ma anche, talvolta, tramite i libri di don Giussani. Le persone, partendo dagli scritti di don Giussani, hanno poi cercato una presenza del movimento nelle varie comunità diffuse nel mondo.

Il movimento Comunione e Liberazione è un anello importante del mondo del laicato cattolico, nella storia del laicato italiano. Un laicato che oggi, apparentemente, sembra non contare più come prima. Lei è d’accordo su questo?

Sono d’accordo in parte. Sono d’accordo se, con questo, intendiamo che il laicato cattolico non si identifica più con una presenza sociologica definita attraverso, ad esempio, dei partiti, dei sindacati o associazioni. Realtà che definiscano univocamente il contenitore dentro cui i cattolici vanno a posizionarsi. Non sono d’accordo - penso alla nostra esperienza - se consideriamo la logica dello ‘sporcarsi le mani’. Questa espressione, attribuita molte volte al movimento Comunione e Liberazione, ha un senso positivo: significa mettersi dentro le cose del mondo con una propria originalità. Ed è una conseguenza pratica dell’educazione ricevuta da don Giussani: Cristo è in relazione con tutto. È una sfida dalla quale noi partiamo per metterci in tutte le cose. Ad esempio, adesso c’è stata questa tornata elettorale in Italia. Comunione e Liberazione ha espresso un proprio giudizio, centrato non sulla identificazione con un partito o con una coalizione ma con delle priorità, dei criteri che vengono riconosciuti come fattori di cui, a nostro avviso, la società oggi più che mai ha bisogno.

Come si può arrivare, secondo Comunione e Liberazione, ad una pace giusta?

Già arrivare a dire concretamente che è urgente tendere a un punto di pace è una conquista. A mio avviso, il modo con cui è stata riconosciuta finora questa urgenza è stato piuttosto tiepido. La posizione del Papa, a nostro avviso, è quella più realista. Ora comincia ad essere riconosciuta ma in passato è stata, di fatto, considerata da molti quasi utopistica. Il Pontefice ha continuato, insistentemente, a sostenere questa urgenza: non tanto strategie politiche, quanto il riconoscimento di una pace come punto desiderabile. E questo punto desiderabile può trovare realizzazione se, innanzitutto, trova spazio nel cuore di ogni uomo. La pace, come dice il Papa, non chiede né vincitori né vinti ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità. Deve cominciare questa fraternità, intesa proprio come una concezione di sé in rapporto con gli altri. Fin quando non cambia questa posizione, sarà molto difficile. La cosa che diciamo a tutti è di attivare iniziative di preghiera per sensibilizzare l’opinione pubblica. Tutte le nostre comunità lo stanno facendo.

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15 ottobre 2022, 10:14