Il cardinale López Romero: la piccola Chiesa del Marocco testimone del Concilio
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
È un sorriso solare la prima “parola” del cardinale salesiano Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat, nell’intervista rilasciata a Pope. Lo sguardo del porporato si posa su due giornate. La prima è quella dello scorso 9 ottobre, quando la Chiesa si è arricchita di due nuovi santi con la . L’altra si lega alla data dell’11 ottobre del 1962, il giorno dell’. Due momenti, sottolinea il porporato, impressi nella storia e nel futuro della Chiesa.
Il vescovo Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti, laico professo della Società di San Francesco di Sales, sono entrambi “uomini di carità”. Parte da questa comune direttrice il cardinale Cristóbal López Romero ricordando il “padre dei migranti” e “l’infermiere dei poveri”.
Queste due figure sono uno stimolo, per tutta la Chiesa, a percorrere il “cammino della carità”. C’è una strada che si contrappone alla “cultura dello scarto”. Questa via, sottolinea l’arcivescovo di Rabat, è la “cultura dell’incontro”. “Noi cristiani in Marocco, nel nord dell’Africa, ci definiamo ‘sacramento dell’incontro’: tentiamo di promuovere l’incontro tra cristiani e musulmani”. “Vivere insieme, in amicizia, è possibile: lottiamo insieme - spiega il cardinale Cristóbal López Romero - per un mondo migliore, costruiamo insieme il Regno di Dio”. Questo è un messaggio che la piccola Chiesa del Nord Africa condivide con tutta la Chiesa universale. “Siamo una Chiesa piccola, insignificante, ma significativa perché abbiamo un messaggio da trasmettere a tutto il mondo”.
L’eredità del Concilio
Il cardinale Cristóbal López Romero, nato nel 1952, era un bambino quando si apriva il Concilio Vaticano II: “Avevo dieci anni e nella scuola salesiana ci avevano spiegato il significato di quell’evento straordinario per la Chiesa”. “Sessanta anni dopo - sottolinea - sono testimone di tutti i cambiamenti positivi portati dal Concilio”. Studiando la storia della Chiesa, mi è stato fatto notare che è servito più di un secolo per realizzare quanto indicato dal Concilio di Trento. “Penso che il Concilio Vaticano II - sottolinea l’arcivescovo di Rabat - abbia ancora bisogno di venti, quaranta anni” per essere più radicato nella vita ecclesiale lungo la linea ispirata dallo Spirito Santo. “Non è facile ma Papa Francesco ci sta aiutando a recuperare il Concilio”. È una sfida per ogni cristiano e per tutte le Chiese locali quella di mettere in pratica il Concilio, che “non è un capriccio dei cardinali e dei vescovi, ma un’opera dello Spirito Santo”.
I frutti conciliari
“La nostra Chiesa nel Nord Africa - osserva il porporato - ha messo in pratica gli insegnamenti conciliari sul dialogo interreligioso: dopo il Concilio Vaticano II è stato avviato il dialogo con le altre religioni”. Papa Francesco “ci ha dato un grande impulso per continuare in questo cammino", e anche se "resta ancora molto da fare in questo campo” quello del dialogo interreligioso è l’esempio di uno dei frutti del Concilio Vaticano II. Un altro frutto è quello di una Chiesa incarnata, di una Chiesa che diventa veramente tunisina, marocchina etc. San Paolo diceva di volere essere ebreo con gli ebrei e greco con i greci. Un altro frutto, nota poi il porporato, è la “centralità della Parola di Dio”. “Noi cattolici in Marocco, dove siamo una minoranza, possiamo essere umilmente testimoni del fatto che il Concilio Vaticano II ci dona ancora oggi delle direttrici importanti”.
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