A trentadue anni dal martirio del giudice Livatino, il ricordo di un compagno di liceo
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Sono passati 32 anni da quando i colpi dei quattro sicari della “Stidda”, la mafia ribelle agrigentina, hanno tolto la vita a Rosario Angelo Livatino, il primo magistrato beato nella storia della Chiesa, e a Giuseppe Palilla un grande amico. Ma questo insegnante di lingue in pensione, 70 anni come ne avrebbe avuti Rosario se non avesse subito il martirio quella mattina del 21 settembre 1990 sulla statale Caltanissetta-Agrigento, nella Canicattì che li ha visti compagni di liceo classico tra il 1968 e il 1971, non dimentica “l’amicizia e la coerenza evangelica e civile” del giovane giudice. “E’ ancora un modello per tutti noi, è nel nostro modo di fare e di vivere” ci dice, e con ex compagni e altri siciliani porta avanti l’associazione “Amici del Giudice Rosario Livatino” di cui è presidente.
Dal 20 settembre la "Settimana della Legalità"
A Canicattì alla vigilia di questo anniversario l’associazione ha inaugurato la “Settimana della Legalità, Giudici Livatino Saetta”, dedicata anche ad Antonino Saetta, magistrato nato in questo paese dell’agrigentino nel 1922 e ucciso dalla mafia il 25 settembre, due anni prima di Rosario, insieme al figlio Stefano, sempre sulla statale 640. Alle 20 di martedì 20 settembre, nella chiesa di San Domenico, la parrocchia del giudice e dei suoi genitori, entrambi scomparsi, la pastorale giovanile cittadina ha animato una veglia di preghiera, presieduta da don Giuseppe Livatino, il postulatore diocesano della causa. Al termine una fiaccolata ha raggiunto la chiesa di San Diego, per concludersi davanti al mezzobusto del beato.
Nella casa di Rosario e dei genitori "tutto è rimasto intatto"
La mattina del 21 settembre, alle 10.30, sempre a San Domenico, è prevista la Messa in memoria del giudice, celebrata dal vicario generale della Diocesi di Agrigento don Giuseppe Cumbo, e alle 12, sul vecchio tracciato della SS 640, ad Agrigento, in Contrada San Benedetto, ci sarà l’omaggio alla stele Livatino fatta erigere dai genitori in ricordo del loro unico figlio. Per tutta la giornata resterà aperta l’abitazione del magistrato ucciso quando non aveva ancora 38 anni, in via Regina Margherita 166, nel cuore di Canicattì, per le visite gratuite gestite dall’associazione “Casa giudice Livatino”. Il professor Palilla ricorda che nella stanza-studio di Rosario “tutto è rimasto intatto”, con il Vangelo sulla scrivania, le collezioni di Tex e Topolino e le videocassette di film western e drammatici, di cui il giovane magistrato era appassionato.
Il ricordo del giudice Saetta, ucciso nel 1988 insieme al figlio Stefano
Domenica 25 settembre, alle 10, nel cimitero comunale di Canicattì, dove, nella cappella di famiglia, riposa ancora il beato Livatino, è in programma un omaggio floreale alle tombe del giudice Saetta e del figlio Stefano e successivamente la Messa in Memoria nella chiesa di San Diego. Alle 12, infine, nei pressi di Caltanissetta, sull’ex viadotto Giulfo della statale 640, l’omaggio alla stele Saetta. La domenica successiva, il 2 ottobre, dalle 9, a Canicattì, nel complesso monumentale ex Badia, sede del Centro attività e studi per la salvaguardia della Legalità e dal rischio derivante dalla criminalità, è in programma un corso di formazione per giornalisti su “Segreto istruttorio e Diritto di cronaca”, alla luce degli insegnamenti del magistrato Livatino, organizzato in collaborazione con l’Ordine regionale Giornalisti e l’Unione Cattolica Stampa Italiana. Relatori saranno Salvatore Vella, procuratore aggiunto di Agrigento, don Giuseppe Livatino, postulatore diocesano della causa di canonizzazione Livatino, e Salvatore Di Salvo, segretario nazionale Ucsi e tesoriere dell’Odg Sicilia. Introduce i lavori Enzo Gallo, delegato dell’associazione “Amici del Giudice Livatino Onlus”. Tornerà infine, come prima della pandemia, la manifestazione artistica per gli studenti “I Madonnari disegnano la Legalità e la Giustizia”, inaugurata nel 2012.
Palilla: modello di integrità, umanità e fede nel Padre
A Pope Giuseppe Palilla ricorda i tre anni di liceo con Rosario, “il miglior compagno di classe che potessimo desiderare”, attento e disponibile, preparatissimo in tutto “anche senza internet”, studioso ma non “secchione”, che “chiedeva spiegazioni agli insegnanti quando noi avevamo paura di essere interrogati”. Ma anche uno dei primi magistrati “a chiedere il sequestro dei beni dei mafiosi”, cosa che loro proprio non tolleravano.
Qual è il suo ricordo più forte dell’amico e compagno di scuola Rosario Livatino?
Il più forte, e che mi ha fatto capire veramente l’amicizia di Rosario per me, mi riporta a quando sono andato in tribunale ad Agrigento per avere un certificato, e scendendo dal secondo piano ho trovato sul pianerottolo del primo piano nel vecchio Tribunale di Agrigento, Rosario con la toga e altre persone. Quindi mi sono sentito un po' in imbarazzo, non sapevo cosa dire, e l’ho salutato con un “Buongiorno signor giudice”. Rosario mi ha richiamato dicendomi “Peppe” ed allungando la mano, aprendo e chiudendo il dito indice, mi ha fatto segno di tornare indietro. E poi mi ha detto: “Ricordati che io sono sempre Rosario”. Migliore attestazione di questa credo che non ne avrei potuta avere. Però ogni anno, almeno una volta l'anno, ci riunivamo con i “compagnetti” di allora: eravamo stati nel tre anni del liceo classico 9 maschi in una classe di 31 alunni, con 22 ragazze. Ci riunivamo per pranzo o cena e le prime volte è stato veramente difficile riuscire a pagare, lo faceva sempre lui. Poi ci siamo messi d'accordo che era giusto che si dividesse e ognuno pagasse una quota. Abbiamo sempre continuato a vederci con il Rosario. Certo, non c'era la stessa frequenza del periodo del liceo o poi dell'università, ma abbiamo continuato sempre questa bella amicizia che lui ha coltivato. Qualcuno ha detto che era un orso. No, Rosario sceglieva le amicizie per non trovarsi poi in situazioni brutte come succede con i magistrati fotografati con sullo sfondo dei malavitosi. Centellinava veramente le sue amicizie e di noi compagni di scuola sapeva tutto, se eravamo sposati, se avevamo figli, se che avevamo lavoro. Quando ci vedeva chiedeva sempre di tutti: “Che fa Sergio? Che fa Malina? Che fa Concetta?”. Rosario non amava dare pubblicità alla sua attività, tant’è che pochi a Canicattì sapevano che Rosario fosse un giudice. Quando per esempio andava alle Poste per fare qualche pagamento, e qualcuno lo riconosceva e gli offriva di andare avanti, lui con molta educazione rifiutava dicendo: “No, grazie, faccio la coda”. Non ha mai dato sfoggio del suo essere giudice.
Questo il Rosario giudice. Quale invece il ricordo del Rosario studente e compagno di studi?
Rosario ci ha aiutato tantissimo, era il nostro tutor, il nostro “insegnante di sostegno”. Ci spiegava le cose, e quando avevamo bisogno perché non capivamo qualcosa, durante la ricreazione mentre tutti uscivano, qualcuno gli chiedeva di restare in classe perché non aveva capito qualcosa di Leopardi o di matematica, o fisica o chimica. E Rosario accettava tranquillamente di restare lì in classe a spiegare quello di cui qualcuno di noi aveva bisogno. Mi vergogno un po' a dirlo, ma ci aiutava anche nei compiti in classe, però ci chiedeva di lasciarlo lavorare tranquillamente perché poi alla fine ci avrebbe dato qualche dritta. Rosario per noi è stato un secondo insegnante, e quando abbiamo fatto gli esami di maturità veniva a casa mia. Avevamo un forno in una casetta vicina all'abitazione e mamma faceva il pane e Rosario amava tantissimo il pane “cunzato”, cioè condito con olio, sale, pepe e anche una bella spruzzatina di formaggio, perché allora il Parmigiano era un lusso che non ci potevamo permettere. Ci mettevamo in un terrazzo che dava su un cortile e a quei tempi (era il 1970, n.d.r.) la televisione iniziava alle 17.30 con la Tv dei ragazzi e c'era Febo Conti che conduceva una sfida tra classi di scuola elementare o media, e le massaie non avevano altro svago che ascoltare le canzoni di Castrocaro alla radio. Ma quando Rosario cominciava a spiegarci Foscolo, o Manzoni o la filosofia, immediatamente le radio si spegnevano e credo che le massaie, loro malgrado, abbiano imparato qualcosa.
E poi condividevate anche la passione per i fumetti western per Tex Willer e per i film?
Io ne compravo qualcuno, ma Rosario faceva collezione, sia di Topolino, ma soprattutto dei fumetti di Tex, e quindi a casa tua c'è ancora una bella collezione di questi fumetti, e una bella raccolta di videocassette dove lui ha registrato film western, di letteratura o drammatici. Lui ha sempre tenuto sulla scrivania un Vangelo piccolo con i quattro Vangeli e quando purtroppo è stato barbaramente ucciso, qualcuno nella sua stanza-studio ha chiesto alla mamma: “Ma lei ha mai perdonato gli assassini di suo figlio?”. E lei, chiudendo gli occhi diceva: “Sì, per quello che c'è là sopra, su quella scrivania”.
Rosario è sempre stato molto religioso…
Certo, ricordo che il nostro insegnante di religione, monsignor Restivo, che ormai ci ha lasciato, ma è vissuto più di cento anni, un giorno ci ha chiesto di fare un tema su “Cos’è per voi la Bibbia”. Tutti in 5 minuti abbiamo finito di scrivere, mentre Rosario ha scritto parecchio, quattro pagine fitte, e una delle frasi più belle, che ricordo, era che la Bibbia “è lo scrigno più prezioso che ci possa essere, perché contiene la Parola di Dio”. Un aneddoto con monsignor Restivo è quando andò a chiedere a Rosario già giudice una piccola raccomandazione, una stupidata, però Rosario con molto garbo gli ha risposto: “Monsignore, ma quando lei confessa accetta raccomandazioni?”. Per dire che Rosario era una persona integra, che non si è mai piegata a nessuno, tanto che lui, in una delle sue relazioni. “Il ruolo del giudice nella società che cambia”, che sembra scritta stamattina, dice che “Il giudice non solo deve essere indipendente, ma deve anche apparire”, l'unica volta che noi troviamo il verbo “apparire” nelle due relazioni che ci ha lasciato: quella che ho appena citato, e poi “Fede e diritto”. “Il rendere giustizia è dono di sé a Dio e quindi preghiera” scrive qui, e quindi quello che faceva non era altro che preghiera, tutto il giorno. Tant’è che lui, ogni mattina, prima di andare a lavorare al tribunale, entrava nella chiesa accanto, di san Giuseppe, si metteva in fondo alla chiesa e si raccoglieva in preghiera. Il parroco don Marco non ha mai voluto disturbarlo, ma si chiedeva chi mai fosse. Quando il 21 di settembre si sa la notizia della feroce uccisione del Rosario, il sacerdote scopre che quel giovane in preghiera era lui. Nelle sue agendine troviamo sempre l’acronimo STD, “Sub tutela Dei”, ma non si tratta della tutela vera e propria, perché il verbo “tueor” è anche riflessivo, e può significare “essere guardato”. Quindi Rosario si sentiva osservato da Dio e quindi tutto quello che faceva lo faceva in funzione dello sguardo che lo guardava, e si comportava in modo tale da essere gradito agli occhi del Padre.
L’acronimo STD è stato trovato anche nei suoi quaderni da liceale…
Sì, ogni tanto vedevamo questa sigla, però Rosario non ci ha mai voluto dare spiegazione, perché era molto riservato in questo. Poi abbiamo scoperto il suo significato, e che non era altro che l'acronimo che usavano i vecchi notari del medioevo, che si affidano “alla tutela di Dio”. Ma Rosario lo ha vissuto in un modo diverso, perché in tutto quello che lui faceva, c’era sempre lo sguardo rivolto a Dio, e Dio che lo guardava. Rosario scrive anche una frase: “Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti ma credibili”. Credo che nonostante siano passati 32 anni dalla barbara uccisione, oltre che ad essere beato, sarà sempre credibile, perché quello che lui ha fatto è di un’attualità incredibile. Anche il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ha ricordato le parole di Rosario per sottolineare l’importanza della credibilità dei giudici nello svolgimento del loro lavoro. In questi tempi nei quali ci sono anche giudici corrotti, credo che Rosario rappresenti effettivamente la credibilità del magistrato e del magistero del magistrato.
Qual è il suo ricordo di quel 21 settembre di 32 anni fa?
Terribile… ero a scuola a Canicattì, e c’era un collega che veniva da Agrigento, e quel giorno è arrivato molto in ritardo, dicendo “E’ successo qualcosa di grave, perché sulla strada ci sono elicotteri, polizia, carabinieri e finanza, ci hanno bloccati”. Poi purtroppo a mezzogiorno abbiamo saputo che Rosario non c’era più, era stato ammazzato vigliaccamente da questi quattro killer. E quella frase che lui ha detto a loro: “Picciotti, che cosa vi ho fatto?” come per dire “Io lavoro per voi e voi mi state ammazzando?”. Ma i ragazzi di Palma per acquistare prestigio davanti agli occhi dei loro capi, non si ponevano il problema di chi andare ad ammazzare- Tra l’altro, Puzzangaro e altri che hanno poi testimoniato per la causa di beatificazione di Rosario, asseriscono di non aver saputo chi stavano uccidendo.
Cosa significa per lei oggi il servizio nell’”Associazione amici del giudice Rosario Livatino”?
Per noi è un impegno morale che abbiamo assunto grazie ad Ida Abate, nostra insegnando di greco, che ha voluto fortemente ricordare Rosario e farne memoria e quindi ha fondato questa associazione di cui io oggi mi onoro di essere presidente. Lo scopo dell’Associazione è di portare avanti la memoria di Rosario: c’era anche il sostegno alla beatificazione, al riconoscimento della santità di Rosario e ci siamo riusciti. Quando ci chiamano da fuori Sicilia, specialmente, durante la pandemia, abbiamo fatto tante videoconferenze e siamo sempre intervenuti. Non possiamo permettere il lusso di uscire fuori dalla Sicilia, se chi ci chiama non contribuisce alle spese, ma grazie a Dio c’è la tecnologia che ci aiuta. Ricordare Rosario è la cosa più bella, perché non si può morire per svolgere il proprio dovere. Qualcuno dice che lui era straordinario: no, io dico che Rosario era ordinario, e nell’ordinarietà del suo lavoro è stato straordinario. Non ha fatto delle rinunce, come quella della scorta, ma ha fatto delle scelte. Rosario è stato innamorato, c’è stato un fidanzamento ufficiale, poi si è rotto perché la fidanzata desiderava che Rosario si trasferisse ad Agrigento, ma lui non voleva lasciare i genitori, quindi sceglie di non formarsi una famiglia, per restare con papà e mamma. Sceglie di non avere la scorta perché scrive nelle sue agendine, “Non voglio che a causa mia ci siano vedove e orfani”. Credo che nell’ultimo periodo avesse avuto sentore che qualcosa non andava, perché prima dava un passaggio ad un giovane di Canicattì e poi improvvisamente ha pregato questo giovane di scegliere come mezzo di trasporto i mezzi pubblici perché viaggiare con lui avrebbe potuto essere pericoloso. Rosario aveva scienza e coscienza di quello che faceva e di quello a cui andava incontro e quel grido “Picciotti, che cosa vi ho fatto” viene ripreso poi da san Giovanni Paolo II a Piano San Gregorio, nel 1993, dopo aver incontrato mamma Rosalia e papà Vincenzo, perché il Papa credo avesse vissuto in maniera contraria il dolore e quello che significa per una mamma perdere il figliolo. Così lancia quell’ anatema: “Lo dico ai responsabili: verrà un giorno il giudizio di Dio”. E quindi in quel giorno Giovanni Paolo II ha dichiarato Rosario martire della giustizia e indirettamente della fede. Rosario si era fatto notare per la sua religiosità, per il suo modo di essere giudice e per il suo modo di essere umano. Quando finiva di interrogare i presunti imputati dava loro la mano, cosa che gli altri non facevano, dicevano, per una questione di igiene. Rosario forse se ne fregava dell’igiene, e stringeva la mano.
Come associazione avete questo impegno di testimonianza e andate a parlare nelle scuole. Lei ha parlato di Rosario ai suoi allievi quando insegnava. Cosa colpisce i giovani della testimonianza e della figura di Rosario?
Che facendo il proprio dovere si diventa straordinari. In un mondo in cui abbiamo come esempi i vip o presunti tali che vanno all'Isola dei famosi, sentir parlare di Rosario, che svolge il proprio lavoro e che diventa suo malgrado un eroe tra virgolette, perché lui non lo voleva, riuscendo ad essere straordinario ed eccezionale. I ragazzi spesso ci chiedono: “Ma noi possiamo riuscire ad essere come lui?”. Beh, se ci impegniamo sì, perché svolgere il proprio dovere è una cosa più importante che dobbiamo fare.
E’ vero che è stata poi la beatificazione a rompere quasi 30 anni di silenzio, a livello anche nazionale, su Livatino?
Mah, non credo, perché noi abbiamo sempre portato avanti la memoria di Rosario. Scuole di ogni ordine e grado ci hanno sempre interpellato per parlare e fare memoria di lui. Diciamo che il 9 maggio 2021, con la beatificazione, il suo nome è ritornato in auge, ma Rosario è sempre stato nella nostra mente, nel nostro essere e nel nostro modo di fare e di vivere. Per quello che c'ha insegnato, perché noi come compagni di scuola, abbiamo avuto tanto e come amici abbiamo avuto ancora di più.
Nella “Settimana della legalità” di quest’anno, perché avete fatto la scelta di parlare con i giornalisti di “Segreto istruttorio e diritto di cronaca”? Come ne parla nei suoi scritti il beato Livatino?
Nelle sue due relazioni non cita il segreto istruttorio, ma si sa che lo difendeva strenuamente. I giornalisti lo rimproveravano benevolmente dicendo: “Lei signor giudice non ci fa lavorare, non ci da’ notizie sulle attività investigative”. "E appunto - rispondeva - io non ve le devo dare, perché esiste il segreto istruttorio. Voi avete il diritto di cronaca, potete scrivere tutto quello che volete, ma io non vi darò mai un input per scrivere qualcosa che poi magari andrà contro l'imputato, perché non vera”. Quindi per lui il segreto istruttorio era sacro e inviolabile e Rosario lo ha mantenuto sempre. E agli avvocati che gli dicevano. “Noi faremo appello” replicava “E’ un vostro diritto, fatelo, perché non sa mai, le leggi possono cambiare, e un domani vi troverete male nei confronti dei vostri assistiti”, quindi era molto aperto in questo. Qualcuno ha detto che era rigido… assolutamente no, Rosario, era per l'uomo, non era un giudice che si accaniva. Lui considerava se era giusto condannare per 10 anni o per 8 anni dando le attenuanti. Considerava anche questo, non guardava solo il cavillo giudiziario, cercava di capire l'errore che aveva fatto l' imputato, per non dare il massimo della pena, ma il giusto, quello che lui riteneva il giusto.
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