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Le delegazioni dei Popoli indigeni del Canada incontrano Francesco in Vaticano / 04.2022 Le delegazioni dei Popoli indigeni del Canada incontrano Francesco in Vaticano / 04.2022 

La Chiesa in Canada, Poisson: massimo impegno tra gli indigeni

Il Presidente dei vescovi canadesi illustra la visita del Papa nel Paese e precisa l'impegno della Chiesa a fianco del governo per compiere gesti di riconciliazione. "Non siamo mai stati assenti dalla vita delle comunità nelle riserve", sottolinea il presule, fiducioso che il gesto di solidarietà del Pontefice stimolerà i progetti locali di approfondimento reciproco della conoscenza a livello spirituale e culturale

Marine Henriot – Città del Vaticano

Riconciliazione e guarigione sono al cuore del viaggio di Papa Francesco in Canada che prende il via domenica 24 luglio per terminare il 30. Un "pellegrinaggio penitenziale" come lo ha definito lo stesso Pontefice nell', "nel nome di Gesù per "incontrare e abbracciare le popolazioni indigene", "gravemente danneggiate" in passato dalle "politiche di assimilazione culturale, compiute da molti cristiani". Il presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Paese, monsignor Raymond Poisson, della diocesi di Saint-Jérôme-Mont-Laurier, illustra la genesi della trasferta pontificia e le speranze che porta con sé: 

 

Monsignor Poisson,cosa vi aspettate da questa visita?

Questa visita storica si inserisce in un insieme di gesti che noi vescovi abbiamo chiesto, fin dallo scorso mese di settembre, per favorire un clima di riconciliazione con i nostri fratelli e sorelle autoctoni. Quello che è accaduto nelle scuole residenziali è un periodo buio della storia canadese, e ha a che fare con tutta la questione del rispetto della loro cultura ma anche del nostro Paese, perché parliamo di popoli che sono stati i primi ad abitare il Canada. Abbiamo iniziato a lavorare con loro in gruppi di ascolto sul campo. Poi, nel dicembre 2019, ho iniziato a parlare al Santo Padre della possibilità che una delegazione venisse a Roma e dell'ipotesi di un suo viaggio nel Paese. Questa visita era stata chiesta già nel 2015 dalla Commissione per la verità e la riconciliazione sotto l’egida del governo, e il Papa allora si era dimostrato entusiasta. Dopo due rinvii a causa della pandemia, lo scorso marzo una rappresentanza di persone autoctone si è recata in Vaticano. E così si è concretizzato un primo gesto di riconciliazione e il fatto che fosse stato rimandato per ben due volte non ha fatto che accrescere l’interesse verso questa delegazione da parte dei nostri fratelli e delle nostre sorelle autoctoni. E questo è il motivo per cui, all’udienza del 1° aprile scorso, alla fine eravamo oltre 150 persone. Quella è stata l’occasione per il Papa per ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti e delle sopravvissute, anziani e giovani. In unione con noi vescovi del Canada, il Papa ha espresso le scuse per gli abusi che in quel periodo storico sono stati commessi da membri della Chiesa. Il viaggio si inscrive dunque in questo cammino e vuole essere un ulteriore passo. E' portatore di segni di riconciliazione, forse più di riconciliazione che di scuse, per il semplice fatto che il Papa tra di noi. Sul sito di una di queste scuole incontrerà dei sopravvissuti, celebrerà Messe pubbliche, in occasione della festa di Sant’Anna, figura assai significativa per tutti, emblematica per le persone indigene, parteciperà a un incontro autoctono e a uno non autoctono. Si tratta dunque di gesti concreti di riconciliazione che, speriamo, daranno seguito alla realizzazione di nostri progetti insieme a loro. Noi abbiamo messo da parte un fondo di 30 milioni di dollari canadesi per sostenere progetti di conoscenza reciproca, della loro cultura, della loro spiritualità, della loro storia, visto che in realtà l’intera società canadese è lontana dalla realtà dei nostri fratelli e delle nostre sorelle autoctoni, e viceversa. Non possiamo certo affermare di conoscerci bene. C’è tanto lavoro da fare, la visita de Santo Padre ci aiuterà.


È utile precisare che il viaggio di Papa Francesco nei territori autoctoni riveste per le comunità locali un’importanza simbolica…

Sì, perché gli autoctoni sono molto legati ai loro territori. Probabilmente il concetto di proprietà e di territorio per noi occidentali si limita alla nostra casa. Per loro, invece, si tratta di uno spazio collettivo, comunitario, un territorio vicino alla natura. Pertanto, il fatto che il Papa camminerà su questo suolo per dire loro 'sono con voi, vi amo e tutti insieme siamo dispiaciuti per quello che è accaduto' è davvero molto importante. Peraltro, abbiamo scelto diversi segni o simboli in occasione degli incontri o delle due Messe pubbliche: gesti di spiritualità cristiana che però avranno il colore e il sapore autoctono, in particolare attraverso le danze, la musica… Questi tutti sono gesti di riconciliazione.

Come si potrebbe descrivere il rapporto attuale tra la Chiesa e le diverse comunità autoctone del Canada?

In Canada esistono oltre 600 comunità autoctone: oltre una sessantina di nazioni tra le Prime Nazioni; poi ci sono i Métis, che sono organizzati in associazione nazionale, e poi ci sono anche gli Inuit. Tutte queste persone non condividono né la stessa cultura né la stessa lingua, ciascuno è diverso dall’altro. Per l’organizzazione del viaggio, ci rivolgiamo alle tre organizzazioni nazionali che raggruppano appunto le Prime Nazioni, i Métis e gli Inuit affinché tutti possano partecipare all’evento. Ogni vescovo nella sua diocesi ha legami con la comunità che risiede nel suo territorio. Per esempio, le comunità autoctone sono concentrate maggiormente nell’Ovest piuttosto che nell’Est del Paese. Quindi va ricordato che ci sono differenze nei rapporti anche secondo le zone. Ma in generale tra le comunità l’attesa è piuttosto entusiasta e positiva. Tutti aspettano con ansia questo evento. Non tutti parteciperanno, perché non è possibile, ma tutti sono interessati. A livello delle organizzazioni nazionali giocano poi altri aspetti. In una crisi come quella vissuta in Canada, il governo federale è implicato alla stessa maniera con la sua politica. Lavoriamo quindi fianco a fianco con il governo per compiere gesti di riconciliazione. Noi seguiamo la nostra pedagogia, che non può essere quella del governo ma che è quella della Chiesa e che consiste nell’essere vicini alle persone sul piano locale e comunitario. Non siamo mai stati assenti dalla vita delle comunità nelle riserve, ci sono preti e missionari sul posto che sono presenti e continuano a essere presenti, sia pure in maniera diversa: lasciamo più spazio alla loro cultura, alla loro spiritualità e abbiamo il coraggio di ammettere questa faccenda.

Quando è venuta in Vaticano in primavera, l’assemblea delle Prime Nazioni ha offerto al Papa una parte di una culla tradizionale. Dopo una notte, Papa Francesco vi ha chiesto di restituire quella culla: ci spiega il significato di quel gesto?

Quella parte di culla portata dalla delegazione stava a illustrare tutta la questione relativa ai bambini nelle scuole residenziali. Ovviamente il Santo Padre l’ha accolta: non sapeva che avrebbe ricevuto questo dono; poi ne abbiamo parlato e lui mi ha chiesto di restituirlo. È stato un modo per dire 'verrò io stesso a vedere questi luoghi, a parlare con voi, ad ascoltarvi ancora'. Non so se in occasione dei prossimi incontri ci sarà di nuovo, quella culla…

Le persone autoctone continuano a essere discriminate nella società canadese. Come potrà incidere la visita del Papa?

La nostra speranza è che questa visita in realtà sia un’ulteriore tappa che ci aiuti a voltare pagina, questa pagina che fin dall’inizio era stata scritta dalla Commissione per la verità e la riconciliazione, che chiedeva delle scuse e una visita del Papa. A quel punto, questo passo sarà stato fatto e noi potremo dunque andare avanti. Senza dimenticare quello che è successo ieri, senza dimenticare l’importanza delle scuse. È necessario fare dei gesti concreti di riconciliazione e dunque dare spazio alla vita, alla vita per oggi e per domani, e per questo esiste il nostro fondo di riserva per i diversi progetti. Io credo che la visita del Papa ci permetterà di voltare pagina in un libro che non chiuderemo, che non dimenticheremo, e di scrivere una pagina nuova con nuovi progetti. Bisogna pensare a un linguaggio diverso, quello del futuro. In questo senso, la Chiesa rappresenta un servizio per la società canadese, perché tutta la società canadese ha bisogno di essere riconciliata.

Secondo lei, qual è la responsabilità della Chiesa, oggi, riguardo al modo in cui i suoi membri, in passato, hanno collaborato all’applicazione della Legge sugli Indiani del 1876?

Non posso pensare che la Chiesa sia stata coinvolta nell’applicazione di queste leggi, mentre invece siamo stati coinvolti nella gestione quotidiana delle scuole residenziali. Il sistema era di governo e federale. Quando ci sono state le leggi sugli Indiani e quelle sulla gestione dei territori e delle riserve, la Chiesa è stata presente nel senso che è stata al fianco degli autoctoni. Ma essa non è responsabile di tali leggi, non ne può rispondere: questa è un’altra cosa. Ciò nonostante, noi speriamo che i nostri gesti di riconciliazione possano indurre il governo a riflettere, ad esempio, sull’accesso all’acqua potabile e all’istruzione da parte delle popolazioni autoctone. Questo è un cammino che iniziamo insieme, secondo le nostre particolari responsabilità.

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23 luglio 2022, 10:59