Romania: il convento di Sighet, oasi di accoglienza per i rifugiati dall'Ucraina
Benedetta Capelli - Città del Vaticano
Nella tempesta della guerra tra Russia e Ucraina ci sono storie di accoglienza che lasciano il segno, che nascono dall’esigenza di rispondere all’invito di Gesù: “chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”. I “piccoli” di oggi sono le tante persone che lasciano l’Ucraina per scappare dalla violenza e così i tre frati cappuccini del convento di Sighetu Marma?iei, in Romania, a 2 km dal confine, hanno spalancato le porte della loro casa, lasciandosi toccare da questa tragedia.
Erano terrorizzati…
Immediatamente, racconta padre Eugen Giurgic?, superiore del convento, si è pensato a cosa fare. “Abbiamo preparato la nostra casa che è un oratorio per ragazzi con alcune stanze per gli ospiti, subito erano pronti 20 posti letto. Già sabato mattina, alle 7:30, hanno suonato alla porta e abbiamo accolto quattro ragazzi, studenti nigeriani che scappavano dalla zona della guerra e che non sapevano dove andare, erano molto spaventati, anzi terrorizzati”. Dopo i ragazzi, è arrivata una famiglia composta da nonni, una figlia con due bambini e un amico con un altro bambino. I frati li hanno rassicurati sul tempo di permanenza. “Abbiamo detto che tranquillamente potevano stare. In soli quattro giorni – afferma padre Eugen - sono passati più di 150 persone nel nostro convento”.
Accogliere con cura
Il cappuccino sottolinea che la richiesta è cresciuta molto, “in tanti ci hanno chiesto un posto caldo, un piatto da mangiare, di andare in bagno per lavarsi perché erano scossi e avevano anche bisogno di trovare un po' di serenità”. Non sono mancati momenti difficili come quando sono arrivate quattro mamme con 4 bambini e non c’erano posti letto disponibili. “Abbiamo attrezzato la sala grande – sottolinea padre Eugen - dove facciamo attività con i nostri bambini, lì abbiamo dei divani che abbiamo preparato come letti”. “Nel nostro convento sono passati egiziani, libanesi, africani, nigeriani, ragazzi musulmani che più volte hanno espresso la loro riconoscenza perché purtroppo – ammette il cappuccino - c'è ancora qualcuno che non è molto disponibile ad accoglierli”.
Il male non ha l’ultima parola
“Abbiamo un desiderio enorme di aiutare che io non avevo mai visto”: così padre Eugen parla delle tante dimostrazioni di solidarietà del popolo rumeno. “Sono venuti in tanti a portarci il necessario per poter assistere i profughi: genere alimentari, medicinali, prodotti per l'igiene. La gente non esita a starci vicino, in molti mi hanno chiamato chiedendo di cosa avevamo bisogno. Una bella testimonianza per me, per il popolo rumeno, per la chiesa penso che è la dimostrazione di un cuore grande che batte nel momento del bisogno”. “Il male – conclude il cappuccino - non ha sempre l'ultima parola e quindi la guerra passerà e finirà tutto questo. Quello che possiamo portare nel cuore è un messaggio importante che ci invita a non scoraggiarci, a lottare, a combattere su tutti i fronti per conservare la speranza”.
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