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Inondazioni in Amazzonia Inondazioni in Amazzonia 

Supplica dei vescovi dell’Amazzonia alla COP26: agire prima della catastrofe

In una lettera rivolta ai leader riuniti a Glasgow per la conferenza Onu sul clima, i presuli del Repam e della Conferenza ecclesiale Ceama sottolineano il bisogno urgente di intervenire per salvare la grande foresta latinoamericana. A fare le spese di politiche sbagliate che non rispettano la “casa comune” sono soprattutto gli indigeni

Michele Raviart – Città del Vaticano

“Sconcerto” e “impotenza” nel contemplare gli effetti del cambiamento climatico e i suoi impatti catastrofici per l’umanità e la casa comune, come la definisce “in modo tanto bello” Papa Francesco, è stata espressa in una lettera ai leader della Conferenza COP26 sul clima, in corso a Glasgow, dai vescovi della Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia (Ceama) e della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), preoccupati per la sorte della più grande foresta del pianeta.

Le minacce alla foresta

L’Amazzonia – bioma che si estende in otto Stati e in Guyana francese – è minacciata per diverse ragioni, si legge nel documento firmato dal cardinale brasiliano Claudio Hummes, in qualità di presidente della Ceama, dal cardinale peruviano Pedro Barreto, presidente della Repam e dai segretari esecutivi delle due organizzazioni: “Politiche ambientali di governi insensibili e intransigenti, il modello estrattivista che domina, la deforestazione dei boschi, gli incendi indiscriminati e in aumento e l’inquinamento dei fiumi”.

Una drammatica situazione di devastazione

Ricordando il documento finale del Sinodo per l’Amazzonia del 2019 e l’esortazione apostolica di Papa Francesco si sottolinea infatti la “drammatica situazione di devastazione” che sta subendo la foresta, “colpita drasticamente dal degrado ambientale e dalle conseguenze del cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra”. E a farne le spese sono soprattutto i popoli indigeni.

Il conto per le generazioni future

“Sono i poveri a pagare per primi il conto di questa problematica ecologica e climatica”, ha affermato il cardinale Hummes, “avranno ogni giorno meno accesso all’acqua potabile, alla terra, al lavoro. E anche le generazioni future, che erediteranno probabilmente un pianeta degradato, desolato e poco a poco invivibile per la vita; e ciò sarebbe molto grave”.

Viviamo in un mondo rotto

“Non si ha diritto di mantenere certe comodità al costo del dolore e della povertà degli altri”, si legge ancora nel documento, dove si ribadiscono i timori delle conseguenze di un aumento del riscaldamento globale che potrebbe superare i 2,4 gradi. “Viviamo in un mondo rotto” e c’è bisogno di prendere misure urgenti di fronte alle ferite che soffrono i territori e i popoli amazzonici e le loro culture.’“Non valgono i pannicelli caldi, le promesse incompiute, gli impegni non rispettati né misure che non siano radicali per ridurre le emissioni, risanando il pianeta e i suoi abitanti”.

Nessuna seconda opportunità sulla terra

La supplica di Ceama e Repam, unita a quella di molti popoli dell’Amazzonia, è che i leader della COP26 evitino la catastrofe imminente “a volte già presente a causa di politiche e decisioni pubbilche e private” spesso infruttuose. “Tutti e tutte siamo parte del problema, ma anche della soluzione”, conclude il testo. “Non possiamo perdere la speranza e se l’abbiamo perduta, le decisioni e le opzioni prese devono affrontare in modo deciso e appropriato la radice dei problemi”, onde evitare quello che scriveva Gabrial Garcia Marquez: “le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non hanno una seconda opportunità sulla terra”.                                                                            

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05 novembre 2021, 16:20