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La Bolla di Celestino V La Bolla di Celestino V 

Perdonanza, Feroci: avvertire la pesantezza del peccato non è una debolezza

Il cardinale, di origini abruzzesi, ha presieduto la celebrazione eucaristica con cui si fa memoria della Perdonanza celestiniana. Il mistero della misericordia di Dio va oltre le superbie dell'uomo, ha ricordato. E ha rilanciato il mandato che sgorga da quel pontificato così breve: l'evangelizzazione dei poveri

Antonella Palermo- Città del Vaticano

Dopo 727 anni dalla pubblicazione della Bolla di Papa Celestino, il cardinale Enrico Feroci ha presieduto stasera l’Eucarestia dopo la quale si apre la Porta Santa della misericordia. Date le sue origini - è nato a Pizzoli (AQ) - il porporato si è sentito particolarmente coinvolto e ha condiviso il fatto che è stato proprio il popolo abruzzese ad insegnargli a vivere "con i piedi ben piantati per terra". Il pontificato di Celestino - ha ricordato Feroci nella sua omelia - è durato solo quattro mesi, ma "ci ha lasciato il dono centrale della fede, la possibilità di attingere alla misericordia di Dio, in modo speciale in questo giorno, in ogni anno, finché entreremo nella visione di Dio". 

Perché il dono della Perdonanza ricordando la decapitazione del Battista? 

Il cardinale ha messo in luce quella che ha definito "attualità sconcertante" della Bolla celestiniana laddove, in particolare, si dice che chi cerca Dio lo troverà attraverso i tesori della Chiesa. Ed evidenzia un passaggio fondamentale di quel documento: la concessione, da parte dell'allora Pontefice, dell’assoluzione dalla colpa e dalla pena a quanti sinceramente pentiti e confessati saranno entrati nella Chiesa di Santa Maria di Collemaggio, decidendo che la celebrazione avvenisse nella memoria della morte di San Giovanni Battista. Perché il dono della Perdonanza ricordando il Battista, nel giorno della sua decapitazione? - si chiede Feroci - che ha evidenziato come un sacrificio del genere - quello, in sostanza, dell’uomo al potere - avviene anche oggi. "Basta aprire gli occhi e guardarsi intorno. Abbiamo la sensazione che le cose, (in Abruzzo si dice 'la roba') siano più importanti dell’uomo, dei rapporti di amicizia e che creano guerre anche intrafamiliari, anche all’interno della famiglia e anche nella Chiesa".

Il Giubileo non è lettera morta

"L'uomo ha voluto salvare se stesso, ha voluto cercare altri percorsi, ha allontanato il progetto di Dio su di lui e sul mondo", ha detto Feroci ricordando che Dio, misterioso e misericordioso, ha continuato ad inseguire l’uomo con il suo amore. Non lo ha abbandonato. “Io ci sono” ha rivelato sul monte Sinai. "Dio ha condotto l’uomo a maturare l’esigenza della misericordia, lo ha istruito, gli ha fatto fare percorsi faticosi e veritieri, lo ha aiutato a discernere la sua presenza benevola e costante orientata al dono totale del divino all’uomo. E come pedagogia - ha spiegato - ha fatto maturare il rinnovo continuo del dono divino di misericordia. Ecco allora che il Giubileo non è lettera morta, il Signore stesso non abbandona l’iniziativa e lo rilancia senza sosta", perché "Lui è Dio-incarnato".

Avvertire il senso del peccato non è una debolezza

Il “segno” supremo posto in atto da Gesù è “evangelizzare i poveri”, non intesi come una categoria sociale, ma teologica. "Gesù sta con coloro che non si sentono autosufficienti, consegna nelle loro mani il Regno, cosicché chi vuole appartenere al Regno già sulla terra deve convertirsi e mettersi al loro servizio", ha scandito il porporato. "L’obiettivo finale del Giubileo, dunque, è ricordare l’opera di Dio", l’amore con cui il Padre desidera sradicare dal cuore dell’uomo gli idoli dell’egoismo, dell’avidità, dello sfruttamento, dell’avarizia, della superbia. Feroci ha concluso con una precisazione: "Avvertire il senso e la pesantezza del peccato non è una manifestazione di debolezza". E cita lo scrittore Ignazio Silone che su Papa Celestino scrisse L’avventura di un povero cristiano: "Ho fiducia nell’uomo che accetta il dolore e lo trasforma in coraggio morale". 

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28 agosto 2021, 19:30