Béchara Ra?: verità e giustizia per la tragedia di Beirut
Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
Se le parole avessero vene e occhi, da quelle pronunciate dal cardinale Béchara Boutros Raï al porto di Beirut sarebbero uscite sangue e lacrime. Parole di un libanese colpito al cuore come tutti i libanesi, che tuttavia dall’epicentro della catastrofe ha voluto indicare una via d’uscita: verità sui fatti, giustizia per i responsabili, solidarietà per le vittime.
La Messa al ground zero di Beirut – nel luogo della “terza più grande esplosione non nucleare della storia umana”, ricorda il patriarca maronita – arriva dopo una giornata di tensioni, di proteste di piazza, di scontri tra manifestanti e polizia, i cui suoni si fondono in dissonanza con i rintocchi delle campane, il canto dei muezzin, le pale degli elicotteri sulla folla. E l’altare della Messa è idealmente poggiato sulle vite scomparse delle 207 persone uccise dalla deflagrazione, dei 6.500 feriti, delle migliaia di famiglie segnate dalla tragedia. “Nelle calamità e nei disastri, solo Dio è la consolazione e la speranza” e in questa prospettiva, assicura il cardinale Béchara Raï, le parole di Papa Francesco al termine dell’udienza generale di ieri sono giunte “in modo speciale a guarire le ferite delle famiglie delle vittime, dei feriti, e di tutti i libanesi”. Ma non è solo la commemorazione di chi non c’è più ad animare il capo della Chiesa maronita.
“Perché siamo qui”
“Siamo qui per chiedere verità e giustizia”, afferma con decisione. “La terra rimarrà scossa in questo luogo fino a quando non sapremo la verità su ciò che è successo nel porto di Beirut. Lo Stato non deve la verità solo alle famiglie delle vittime, ai feriti e a chi è rimasto colpito, ma a ogni libanese”, dichiara, invitando gli organi preposti a fare chiarezza sulle circostanze e sulla filiera di responsabilità che ha portato alla terribile esplosione di nitrato di ammonio che si è mangiata un pezzo, un terzo di Beirut. “Testimoniamo l'unità dei cristiani e dei musulmani nella fedeltà al solo Libano”, dice a un certo punto il cardinale Béchara Raï. “Siamo qui per lanciare un appello ai responsabili politici: andate avanti, istituite subito un governo di riforma e di salvezza”. E “siamo qui – incalza - per lanciare un appello ai paesi del mondo: il Libano grida a voi, salvatelo!”. E ringrazia per la Conferenza dei donatori di Parigi che ieri ha raccolto 370 milioni di dollari per il Libano.
Ricostruiamo la città e l’anima
Di fronte al “massacro dell’anima di un popolo”, che “dal potere della preghiera” può trovare sollievo, è doveroso che giustizia e verità facciano il loro corso. Il patriarca dei maroniti si appella con energia alla coscienza dei politici libanesi, ammonendo e spronando. “Non vogliamo più combattere, non vogliamo più guerre”, dice, piuttosto – e il discorso si allarga ad abbracciare speranze di generazioni – “dichiariamo la nostra lealtà a Beirut ricostruendola: con la sua bellezza e il suo patrimonio”, con la sua arte e i suoi edifici, le sue chiese e le sue moschee, “con i suoi fiori e i suoi alberi, con i tratti salienti della sua civiltà e cultura”.
Le lacrime saranno asciugate
“Se il morale rimane intatto e alto, tutta Beirut potrebbe essere ricostruita senza troppi problemi”, si dice convinto il cardinale Béchara Raï. “Nelle grandi tragedie e catastrofi, il tempo cessa di essere cronologico. I giorni diventano anni, e gli anni diventano eternità. Ma per Dio, il tempo è infinito. Dio ci guarda nella sua misericordia, abbraccia le nostre vittime e le unisce alla tenerezza del suo cuore e alle luci della sua gloria”. E termina con le parole dell’Apocalisse, che suonano come un invito alla fiducia per ogni libanese delle migliaia in ascolto: "Asciugherà ogni lacrima dai loro occhi: non ci sarà più la morte, non ci sarà più il pianto, il lamento o il dolore. Perché il vecchio mondo è passato".
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