Il ricordo delle quattro suore uccise nello Yemen
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Erano le 8 del mattino del 4 marzo 2016, le quattro religiose stavano servendo la colazione agli anziani della casa di Aden, dove dedicavano la loro vita agli ultimi, ai dimenticati, a quelli che Papa Francesco più volte ha definito “scartati”, appellandosi ad una conversione dei cuori che ripudi la cultura, appunto, dello scarto. Quattro suore delle Missionarie della Carità, la congregazione fondata da Santa Madre Teresa di Calcutta, che operavano nello Yemen, un Paese la cui guerra è spesso dimenticata e la cui crisi umanitaria è oggi la peggiore a livello globale. Loro ogni giorno accanto agli anziani yemeniti, in una casa di cura dove quella mattina avvenne l’attacco terroristico. I jihadisti fecero irruzione ed uccisero a colpi di arma da fuoco anche altri collaboratori della struttura. In totale furono 16 le vittime di quel massacro.
Le quattro religiose
Si chiamavano suor Annselna, suor Judith, suor Margarita e suor Reginette. Provenivano rispettivamente da India, Kenya e, le ultime due, dal Rwanda. La più grande, Annselna, aveva 57 anni. La trentaduenne Reginette era la più giovane. Suor Annselna, dopo aver servito i poveri anche negli Stati Uniti e in Italia, aveva deciso di proseguire il suo operato proprio nello Yemen. Un Paese scelto anche dalle altre tre religiose. Monsignor Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, ai microfoni di Radio Vaticana sottolineò, allora, come le quattro suore “erano state già in passato oggetto di attacchi mirati, ma avevano deciso di rimanere qualsiasi cosa capitasse, perché questo fa parte della loro spiritualità”.
Il cordoglio del Papa
all’indomani dell’attentato di Aden. Nel testo, a firma del segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, si legge che Francesco era “scioccato e profondamente rattristato” nell’apprendere la notizia e “assicura preghiere per le vittime e vicinanza spirituale alle loro famiglie e a tutti i colpiti da questo atto di violenza insensata e diabolica”. Preghiere “affinché questo massacro senza senso possa risvegliare le coscienze, portare ad una conversione del cuore e ispirare tutte le parti a deporre le armi e a intraprendere la via del dialogo. In nome di Dio - scriveva ancora il cardinale Parolin -, il Papa invita tutte le parti coinvolte nel conflitto a rinunciare alla violenza e a rinnovare il loro impegno per il popolo dello Yemen, in particolare per quelli più bisognosi, che le religiose e i loro cooperanti hanno cercato di servire. Il Santo Padre invoca la benedizione di Dio su tutti coloro che soffrono questa violenza, e in modo speciale estende alle Missionarie della Carità la sua vicinanza spirituale e di solidarietà”.
Un Paese fragile
Si stima che attualmente nello Yemen 4 cittadini su 5 abbiano bisogno di assistenza umanitaria. Sono oltre quattro milioni quelli che, in questi anni di conflitto, hanno dovuto abbandonare le proprie case ed oltre la metà sono minori. Due terzi della popolazione dipende totalmente dagli aiuti internazionali. Una situazione che monsignor Paul Hinder in una recente intervista a Pope ha definito “al limite della catastrofe”. Molteplici le cause: “C'è il problema della fame, c'è quello della salute, c'è il problema soprattutto della guerra e dell'insicurezza - ha affermato il presule -, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. C’è la siccità e i contadini sono limitati nel lavorare la terra”. Allora “è difficile dire quale urgenza bisogna affrontare prima. Io direi che la gente deve essere nutrita, perché altrimenti si muore, e poi c’è tutto il resto da fare”.
Vivere ai piedi della Croce
Suor Cyrene, all'epoca Provinciale per l'Italia delle Missionarie della Carità, cinque anni fa raccontava in esclusiva per la nostra emittente - al microfono di Antonella Palermo - come stava vivendo la sua comunità la drammatica vicenda, che ricordava anche il martirio di altre tre suore nello Yemen, nel 1998.
"Stiamo vivendo nella speranza che tutto questo sia un seme per una vita nuova, per un amore più grande. "Come Missionarie della Carità – diceva - offriamo la nostra vita a Dio per i più poveri tra i poveri. Madre Teresa direbbe: “Sono Gesù per noi” e i loro occhi sofferenti sono lo sguardo di Cristo che sulla Croce grida: “Ho sete! Ho sete del tuo amore”. Quindi le suore avevano già offerto la loro vita. E allo stesso tempo essere ai piedi della Croce con Maria, assistere Gesù che è in agonia. E questo è stato anche il motivo per cui le suore sono rimaste lì, ad Aden, a servire i poveri, nel nascondimento, nel silenzio… Una vita quotidiana fatta di piccole cose: questo è vivere ai piedi della Croce. Anche durante i bombardamenti di questi ultimi mesi, le suore erano ben consapevoli che stavano rischiando la loro vita. E poi dobbiamo parlare dei collaboratori: di quelle persone che sono state uccise e hanno lasciato le loro famiglie".
Aiuti insufficienti
La Conferenza dei donatori convocata lunedì scorso in modalità virtuale per aiutare lo Yemen ha promesso fondi per 1,7 miliardi di dollari, meno della metà di quanto necessario per arginare una devastante carestia. Un risultato definito "deludente" dal segretario generale dell'Onu Antonio Guterres che aveva lanciato un appello per 3,85 miliardi di dollari in aiuti urgenti. In questi giorni cresce, inoltre, la preoccupazione per i civili in fuga dalla regione di Marib, dove si intensificano gli scontri. L'Unhcr, l'Agenzia Onu per i rifugiati, chiede che sia garantito un corridoio sicuro per quanti stanno fuggendo. Sono quasi un milione gli yemeniti che hanno trovato rifugio in quest’area considerata sicura, ma i cui campi sono sovraffollati.
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