Natale a “Casa di Annaâ€: dire ai senzatetto di Seoul che "sono amati da Dio"
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Sarà un Natale senza Messa alla “Casa di Annaâ€, a Seong Nam, città di un milione di abitanti alla periferia sud di Seoul, mensa serale per 700 senzatetto e famiglia per 60 ragazzi di strada, per le restrizioni anti contagio del governo coreano, che non permettono che in luoghi chiusi vi siano più di 20 persone. Ma anche se all’aperto e al freddo, non mancherà per loro il calore dell’accoglienza, quella di padre Vincenzo Bordo missionario italiano degli Oblati di Maria Immacolata, che nel 1998 ha fondato “Anna’s houseâ€, e dei 600 volontari (solo la metà cattolici) che si alternano nelle cucine, nella distribuzione dei pasti, nelle pulizie e in tutti gli altri servizi. Molti di questi purtroppo sono sospesi causa pandemia, come le docce, il taglio dei capelli, la distribuzione dei vestiti, l’ambulatorio, e la consulenza legale e psicologica.
Rischio lockdown in Corea: "ma noi non possiamo chiudere"
Il Covid-19 sta tornando a preoccupare in Corea del Sud, anche se i numeri di contagiati e vittime sono molto più bassi, e c’è anche il rischio di un lockdown, “ma noi non chiuderemo, non possiamo lasciare i nostri amici di strada senza ciboâ€, assicura padre Vincenzo. A Natale non ci sarà la tradizionale Messa per volontari e ospiti, e nemmeno il concerto, ma non mancherà un pranzo più ricco del solito, distribuito però all’aperto, qualche canto, Babbo Natale con un dono pratico per chi vive per strada (biancheria, prodotti per l’igiene personale, cioccolata) ad ognuno, e il saluto di padre Bordo.
"Gli facciamo capire che gli vogliamo bene, nel nome di Dio"
“Dirò che se la loro vita in questo momento li accomuna a Gesù, Giuseppe e Maria esclusi, non accolti, rifiutati, un po' come Gesù†racconta il missionario, “qui sono i benvenuti, e sono amati da Dioâ€. Più che con le parole, “con quello che facciamo, cerchiamo di far loro capire che gli vogliamo bene, nel nome del Signoreâ€, anche se “tra chi viene a mangiare da noi i cristiani sono veramente pochiâ€. Una generosità che diventa contagiosa. “Trent’anni fa, quando sono arrivato – racconta ancora padre Vincenzo – la solidarietà era una parola poco conosciuta in Corea. Oggi invece un anziano povero, che ancora lavora per vivere, mi ha portato 1500 euro per ‘i più poveri di me’ i suoi risparmi di un annoâ€.
La festa di Natale: quest'anno solo canti e doni all'aperto
Ecco come padre Vincenzo Bordo, che nel 2014, l’anno della visita di Papa Francesco a Seoul, ha ricevuto il premio Ho-Am, il Nobel coreano per la carità, racconta a Pope questo strano Natale nell’ “Anna’s houseâ€.
R. - Quest'anno il Natale sarà un po' particolare a causa del Covid-19 perché non possiamo fare quello che abbiamo fatto ogni anno, una bella messa con i ragazzi, gli ospiti dei nostri centri e gli impiegati. Quest'anno sarà impossibile perché in Corea per le restrizioni che ci sono anche delle parrocchie quest'anno soltanto 20 persone potranno accedere alla chiesa, quindi sarà un po' giù di tono.
Però avete comunque programmato qualcosa nella vostra mensa, dove distribuite i pasti?
R. – Sì, i nostri ospiti sono mediamente 700 al giorno e sono quasi tutti non cristiani. Quindi loro sanno del Natale perché è una festa civile, folkloristica un po', ma non sa niente del cristianesimo. Però facciamo chiaramente un buon pasto, meglio degli altri giorni, poi ogni anno facciamo un piccolo concerto. Quest'anno ci dovremo limitare a fare soltanto tre o quattro canti all'aperto, prima di distribuire la cena e poi come ogni anno verrà Babbo Natale che darà un regalo ad ognuno di loro: delle cose che servono a loro nella vita quotidiana.
Quindi anche se la festa in Corea non è molto sentita, ci puoi sintetizzare cosa dirai per far comprendere il valore del Natale, per noi cristiani, nel tuo discorso iniziale?
R. – Potrei dire quello che io cerco di vivere: il Natale è lo spazio, il luogo, il tempo dell'accoglienza. Gesù a Natale non è stato accolto, non ha trovato un posto per vivere, e i nostri amici di strada, sono gli esclusi, i non accolti, i rifiutati, un po' come Gesù. Quindi il mio desiderio e quello dei volontari é proprio di accoglierli in maniera particolare per dire: “siete i benvenuti, siete amati da Dioâ€. E questo più che con le parole, (sì, lo farò un piccolo discorso all'inizio per spiegare il Natale), con la nostra vita, con quello che facciamo. Dire loro: “Benvenuti, vi vogliamo bene nel nome del Signoreâ€. Questo è un po' quello che vorrei vivere, esprimere e condividere coi miei amici di strada.
La vostra struttura si sostiene molto con lo spicciolo della vedova… Nella cultura coreana c’è e come si esprime il valore della solidarietà, dell'attenzione a chi non ha, agli ultimi della società?
R. – All’inizio, quando sono arrivato, 30 anni fa in Corea, il senso della solidarietà e del volontariato erano quasi sconosciuti. Adesso è cresciuta tantissimo. Oggi, per esempio, è venuto un signore, di 79 anni, che ancora lavora per sostenersi, è molto povero, e ha portato 1500 euro che erano i suoi risparmi di un anno. Questo signore viene ogni anno, veramente è un sant’uomo. Risparmia, mette da parte, fa dei sacrifici, perché è povero anche lui, ma vuole fare qualcosa, mi ha detto, “per quelli più poveri di me†e andandosene si è anche scusato: “Scusami, ma quest'anno c’è stato il Covid e non sono riuscito a risparmiare quanto immaginavo†e quindi dandomi questa busta mi ha detto: “Ti prego, aiuta quelli più poveri di meâ€. E’ una dimensione che sta crescendo molto anche in Corea, quella della solidarietà e l'attenzione agli ultimi.
Avrete una celebrazione a parte con i volontari cattolici e cristiani che, mi dicevi, sono circa la metà a casa di Anna?
R. – La “Casa di Anna†è una Onlus che lavora per la gente in strada: ragazzi di strada e adulti di strada e per questa grande famiglia facciamo ogni anno la messa insieme e il pranzo insieme. Quest'anno purtroppo non sarà possibile, e quindi ci limiteremo a salutarci in maniera molto più semplice.
Il virus sta riprendendo forza, anche se non come negli altri continenti, anche in Asia e in Corea del sud. Non c'è il rischio che le autorità vi chiedano di sospendere il servizio?
R. - Il rischio c’è e ne parlavamo poco fa in una riunione con i collaboratori. Noi ora siamo a livello 2,5 se si eleva al punto 3, come sembra probabile in questi giorni, in teoria non potremmo più distribuire i pasti. Però noi non possiamo chiudere è impossibile: si può chiudere una palestra, perché si può fare sport a casa, si può chiudere un teatro, perché puoi vedere la cultura in televisione, si può chiudere anche una chiesa, si può pregare a casa, ma non si può non dare il cibo a chi ha fame. Il 70 per cento dei nostri amici ha un pasto al giorno: è quello che riceve da noi. Significa condannarli alla fame, a sentirsi male, e a prendere il virus, quindi non potremo chiudere, non chiuderemo. Non so come faremo, il Signore ci aiuterà, ma andremo avanti perché non possiamo abbandonare questi amici che sono nostra famiglia.
La pandemia di Covid-19 ha cambiato il volto di chi viene a chiedere un pasto alla “Casa di Anna� Vedi persone nuove? E sono aumentate?
R. – Sì, le persone anziane sono aumentate tantissimo, e questo ci ha sorpreso. Il fatto è che prima riuscivano a rimediare qualcosa, piccoli lavoretti, perché anche gli anziani qui lavorano, non c’è un sistema pensionistico ben organizzato, e probabilmente questi piccoli lavori sono scomparsi tutti. Questa situazione sta creando problemi soprattutto ai poveri: a quelli che hanno poco.
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