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Il Santuario del Divino Amore Il Santuario del Divino Amore 

L’ordinazione episcopale di monsignor Feroci

Il futuro cardinale è stato consacrato durante una cerimonia svoltasi ieri al Santuario del Divino Amore, dov’è parroco. La cronaca de L'Osservatore Romano

Città del Vaticano

«Un dono per la Chiesa di Roma»: così il cardinale vicario Angelo De Donatis sul ministero di monsignor Enrico Feroci, cui ha conferito l’ordinazione episcopale in vista della creazione cardinalizia  nel prossimo Concistoro di Papa Francesco. Il quale gli ha assegnato la sede titolare di Passo Corese con titolo personale di arcivescovo, in ottemperanza con quanto stabilito dal canone 351 del Codice di diritto canonico: «Coloro che già non siano Vescovi, devono ricevere la consacrazione».

Tre parole chiave

Il rito si è svolto nel nuovo santuario della Madonna del Divino Amore a Castel di Leva, dove monsignor Feroci è parroco. E tale intende restare anche da cardinale, come fece l’oratoriano Giulio Bevilacqua ai tempi di Paolo vi. Particolarmente significativa anche la data dell’ordinazione, avvenuta nel pomeriggio di domenica 15 novembre: coincide infatti con la quarta Giornata mondiale dei poveri, istituita da Papa Bergoglio al termine del giubileo della Misericordia. Del resto, proprio i poveri sono stati al centro della sua missione di prete a Roma sia nei seminari minore e maggiore, sia nelle precedenti parrocchie in cui ha servito — San Frumenzio ai Prati fiscali e Sant’Ippolito — sia come direttore della Caritas diocesana. Talento, gratitudine e rimanere: queste le tre parole chiave dell’omelia del cardinale vicario, che gli ha idealmente consegnato come modello l’icona biblica di Mosè, «chiamato da Dio a una grande missione nella vecchiaia».

Servizio, non carriera

«L’episcopato — ha spiegato De Donatis citando la parabola dei talenti proposta dal Vangelo — non è un avanzamento di carriera. Al vescovo è chiesto un di più: chi è il più grande diventi il più piccolo, come colui che serve».  Riguardo alla gratitudine, il porporato l’ha espressa all’ordinando «per le vocazioni che hai visto fiorire, per la responsabilità di farti portaparola dei più poveri, per l’accoglienza di sfide non facili, per riconoscerti uno strumento nelle mani» di Dio. Del resto, ha aggiunto, «tanti sono i preti cui sei stato vicino. Per molti continui a essere un padre premuroso e un educatore instancabile, per tanti un amico, per altri testimone di Gesù». Infine, il terzo termine, con l’augurio di «rimanere legato al Signore, nell’accompagnare il malcapitato alla locanda come il samaritano».

La cerimonia

Nel rispetto delle normative anti-covid, ha partecipato al rito un numero limitato di persone. Co-consacranti erano l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente emerito del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali (ora confluito nel Dicastero per la comunicazione) e monsignor Vincenzo Apicella, vescovo di Velletri-Segni.  Da parte sua Feroci ha ringraziato il Papa, il cardinale vicario e i vescovi,  ricordando le persone care,  i genitori e la sorella, i monsignori Tommaso Fanti, che ne ha stimolato la vocazione e con i suoi centouno anni era presente al rito, e Carlo Graziani, il parroco di  cui fu vicario e poi successore a San Frumenzio; senza dimenticare don Andrea Santoro, assassinato in Turchia nel 2006, «amico e confidente,  vero testimone della fede» che — ha commentato — ora «se la starà ridendo in Paradiso per la mia creazione a cardinale».

E nel ripercorrere le tappe principali del proprio sacerdozio non poteva mancare l’esperienza alla Caritas, perché «se non ci fossero stati i 9 anni di questo servizio la mia vita sarebbe stata monca», ha detto prima di rinnovare il proprio affidamento a Maria. Ella, ha concluso, «mi ha portato qui» nel santuario mariano amato dai romani, dove «Francesco mi ha chiesto di lavorare affinché sia luogo di accoglienza e misericordia per tutti».

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16 novembre 2020, 16:11