Sud Sudan. Covid-19: salesiani e gesuiti al fianco dei rifugiati
Isabella Piro – Città del Vaticano
Al fianco degli ultimi, dei più vulnerabili, di chi cerca la pace dopo essere sfuggito alla guerra e alla morte: lo sono i sacerdoti e i gesuiti del Sud Sudan che, in questo tempo di pandemia da Covid-19, sono rimasti accanto agli sfollati e ai rifugiati, portando loro aiuto materiale e conforto spirituale. Le loro testimonianze – riportate nel del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale – raccontano di un Paese che, a quasi dieci anni dall’indipendenza, ottenuta nel 2011, sta ora attraversando una grave crisi economica anche in conseguenza all’emergenza sanitaria. Il calo del prezzo del petrolio, la svalutazione della moneta locale, la dipendenza dalle importazioni, infatti, hanno fatto lievitare al massimo storico i prezzi dei prodotti di base, portando il 45 per cento della popolazione ad una pesante situazione di insicurezza alimentare. Inoltre, dopo la conferma del primo caso di coronavirus nel mese di aprile, le misure restrittive anti-contagio varate dal governo hanno avuto ulteriori ricadute sull’economa e sulla società.
Il campo per sfollati di Gumbo
Le difficoltà si sono avvertite fortemente soprattutto nelle zone più critiche, come ad esempio il campo per sfollati di Gumbo, gestito dai salesiani e situato in un piccolo sobborgo nei pressi di Juba. Istituito nel 2014, dopo lo scoppio della guerra civile nel dicembre 2013, il campo oggi accoglie quasi 9.800 persone, tra cui molti bambini, orfani, donne e anziani. A loro, i sacerdoti eredi di Don Bosco offrono cibo, educazione, cure mediche ed assistenza di spirituale. In questo tempo di pandemia, gli sforzi si sono moltiplicati in favore delle famiglie più vulnerabili, alle quali sono stati donati beni di prima necessità, oltre che dispositivi sanitari e kit igienici per aiutare la prevenzione dal contagio. Oltre al campo per sfollati, a Gumbo la Congregazione salesiana anima anche una parrocchia, scuole e diversi Centri di formazione: Tecnico-professionale, Promozione femminile, Giovani, nonché un secondo campo riservato agli sfollati interni e gestito dai Figli spirituali di Don Bosco. Al momento, questa struttura ospita circa 10mila persone.
La presenza salesiana nel Paese africano
Da ricordare che nel più giovane Stato africano vi sono cinque comunità salesiane per un totale di circa 25 religiosi, nonché altri membri consacrati della Famiglia Salesiana: le Figlie di Maria Ausiliatrice, attive con 15 religiose in tre centri; le Suore Missionarie di Maria Aiuto dei Cristiani, presenti con una comunità composta da quattro suore; le Suore della Visitazione di Don Bosco, presenti con una comunità di cinque religiose; e le Suore della Carità di Gesù, con otto sorelle suddivise in due comunità.
Don Roger, il “Covid Hero”
I salesiani sono al fianco dei rifugiati sud sudanesi anche al di fuori dei confini nazionali: don Roger Mukadi Mbayo, ad esempio, opera a Palabek, nel nord dell’Uganda, dove porta il suo aiuto ad oltre 54mila profughi del Sudan Meridionale. La sfida è ardua: il campo di accoglienza locale ospita oltre 25mila bambini minori di 13 anni che, a causa della pandemia da Covid-19, non possono più frequentare la scuola, perdendo così l’accesso all’istruzione, ma anche il contatto con i loro coetanei. Per questo, don Roger, insieme ad altri confratelli, ha pensato ad attività formative quotidiane che coinvolgono circa 400 bambini e ragazzi per volta. Ad esempio, ai giovani è stato insegnato come seminare l’erba per i campi da gioco, piantare alberi e allestire un orto. I ragazzi hanno anche imparato a registrare video e audio incentrati sulla prevenzione del coronavirus e si sono recati in visita, nel pieno rispetto delle regole sanitarie, presso alcuni coetanei malati. Tanto impegno ha fatto guadagnare a don Roger il soprannome di “Covid Hero”, “l’eroe del Covid”: un segno di gratitudine da parte dei tanti bambini ai quali il sacerdote ha donato di nuovo il sorriso.
La testimonianza del padre gesuita Matthew Ippel
Ma in Sud Sudan sono presenti anche i gesuiti, come padre Matthew Ippel che opera nel campo profughi di Maban. La sua è una testimonianza particolarmente toccante: nonostante gli fosse stato suggerito di lasciare il Paese a causa della pandemia, padre Ippel si è “sempre sentito chiamato ad essere fisicamente presente, a continuare a compiere il mandato umanitario ed evangelico della mia missione", al fianco dei rifugiati del Sud Sudan. Con l'autorizzazione del suo Superiore, padre Matthew è quindi rimasto a Maban e, insieme ad un confratello, ha formato una piccola comunità che vede coinvolti anche diversi volontari. La principale attività che portano avanti è quella della sensibilizzazione sul Covid-19 messa in atto con visite a domicilio, nel rispetto delle regole sanitarie, presso le persone più fragili ed isolate, come gli anziani e i disabili.
Gli aiuti della Comunità di Sant’Egidio
Intanto, mentre nel Paese il coronavirus fa registrare, ad oggi 5 settembre, oltre 2.500 casi in totale, sono arrivati in questi giorni a Juba gli aiuti umanitari raccolti dalla Comunità di Sant'Egidio, in collaborazione con il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale. L’iniziativa “Ponte areo umanitario” dell’Unione Europea ha permesso che nella nazione africana giungessero cibo, mascherine, gel igienizzante e sapone da destinare ai profughi. Gli aiuti verranno distribuiti dal Ministero degli Affari Umanitari e il Consiglio Ecumenico delle Chiese del Sud Sudan.
Tutti i numeri del Bollettino della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale possono essere consultati al seguente link:
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