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Corea del Sud: i vescovi contro la depenalizzazione dell’aborto

I presuli del Paese asiatico motivano la loro contrarietà alle norme che intendono legalizzare l’interruzione di gravidanza al di là delle settimane di gestazione. Il loro invito alla politica è di cercare strade condivise nella piena tutela della vita

Davide Dionisi – Città del Vaticano

Un documento articolato in sette punti per ribadire il secco no a leggi per depenalizzare l'aborto. A seguito delle notizie circolate nei giorni scorsi riguardo le “raccomandazioni” presentate dal Comitato per le politiche sull'uguaglianza di genere (l’organo consultivo del Ministero della Giustizia) circa l’abolizione delle normative vigenti in materia di interruzione di gravidanza, i vescovi coreani hanno espresso il loro rammarico e hanno pubblicato una memoria ufficiale. Secondo i presuli l’iniziativa del Comitato ha come unico obiettivo quello di legalizzare l’aborto, al di là delle settimane di gravidanza “in nome dell’autodeterminazione del diritto delle donne che, comunque, non può precedere il diritto alla vita. Questo perché il nascituro e la mamma sono esseri distinti”.

Tutelare sempre la vita

Secondo i vescovi: “La completa abolizione delle condanne per reati legati all’aborto, viola il principio costituzionale che tutela la vita del bambino. E lo Stato si è già pronunciato in materia attraverso una serie di sentenze. La stessa Corte Costituzionale, l’11 aprile 2019, ha riconosciuto che il feto è un essere vivente e che pertanto va tutelato”. I presuli citano poi l’esempio di altri paesi in cui l’interruzione di gravidanza è legale. “Anche là dove l’aborto è consentito, non può essere effettuato se non entro un certo limite di settimane di gravidanza e, comunque, previa consultazione. Più la gestazione è in stato avanzato, maggiori sono le possibilità di compromettere la salute della mamma in caso di intervento. Piuttosto che depenalizzare l’aborto, sarebbe opportuno creare i giusti presupposti per una condivisione di responsabilità. Sia tra uomini e donne, che tra Stato e società. Andando oltre la decisione del singolo individuo”. La Conferenza episcopale esprime inoltre il suo pieno dissenso nei confronti di quei mezzi di informazione che stanno sostenendo l’iniziativa del Comitato perché “si vuol far passare quello che è considerato un crimine come un diritto”. “La Chiesa chiede che leggi complesse come queste non possono essere varate a colpi di maggioranza ignorando i valori universali fondati sulla dignità della vita umana” concludono i presuli.

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29 agosto 2020, 19:20