Indigeni d'Amazzonia: devastazione, fame e saccheggi peggio del Covid
Isabella Piro - Città del Vaticano
"Ecocidio, etnocidio e terricidio sono peggio del coronavirus”: lo afferma la della prima Assemblea mondiale per l’Amazzonia, svoltasi il 18 e il 19 luglio, su iniziativa del Coordinamento delle organizzazioni indigene del bacino amazzonico (Coica), del Forum sociale panamazzonico (Fospa) e della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). L’evento ha avuto luogo in modo virtuale, coinvolgendo diversi Paesi: Ecuador, Colombia, Perù, Bolivia, Cile, Paraguay, Guyana, Venezuela, Brasile, Guyana Francese e Suriname. “La lotta dei popoli amazzonici, attaccati nei loro territori e nelle loro culture, è in aumento – si legge nella dichiarazione – Cresce l’urlo assordante della foresta amazzonica che brucia, viene saccheggiata dall’industria estrattiva la quale riconosce solo il potere e l’avidità”. E mentre le comunità indigene si preparano ad affrontare “la devastazione e la fame” che continueranno ad esserci anche “dopo questa pandemia da Covid-19”, “l'ecocidio, l'etnocidio e il terricidio” risultano essere “peggiori del virus”, perché portatori di “un sistema coloniale e capitalista che non comprende la cura della vita”. “Non c’è più tempo – incalza il documento – Bisogna unirsi nella diversità dei saperi dei popoli e nella cultura della cura”. “Amazzonizzatevi! – è quindi l’invito dell’Assemblea – Ora o mai più! Più forte di tutte le voci di morte sarà il grido della vita che emerge dall’Amazzonia”.
Urgente rivedere i modelli di sviluppo
Nel corso dei lavori, si è insistito sul concetto di “amazzonizzarsi in difesa della casa comune”, ovvero lasciarsi guidare, in una collaborazione reciproca, dagli indigeni per costruire “una nuova realtà” in grado di far fronte “ad un sistema ecocida ed etnocida” che “ruba il futuro” alle popolazioni locali. Bisognerà quindi – si è detto – mettere in discussione “un modello di sviluppo malato” che mira a “dissanguare l’Amazzonia”, lasciando il benessere ai così detti Paesi sviluppati e “l’inquinamento e le malattie” ai popoli indigeni. “L’economia – è stato ribadito – non deve essere un accumulo materiale, ma piuttosto il recupero dell’essere umano”. L’appello è stato, quindi, alla cooperazione e al dialogo per “risvegliare la consapevolezza e l’agire di tutti, senza discriminazioni”, contro un sistema che “sta uccidendo moralmente, spiritualmente e fisicamente” la regione amazzonica.
Tra i partecipanti all’Assemblea, anche il cardinale Pedro Ricardo Barreto Jimeno, Arcivescovo di Huancayo, in Perù e vicepresidente della Repam, il quale ha portato “la solidarietà della Chiesa cattolica ai popoli originari dell’Amazzonia, un ecosistema vivente di cui tutta l’umanità deve prendersi cura”. Denunciando, poi, l’avidità delle attività estrattive e la mancanza di rispetto per la vita umana come “elementi distruttivi dell’Amazzonia e delle popolazioni indigene”, il porporato ha sottolineato che “questi popoli ci danno una lezione di unità per il bene di tutti, in un’azione comune che ci aiuta a capire come la diversità sia un arricchimento, non una minaccia”. Inoltre, soprattutto “in questo tempo di pandemia”, è quanto mai necessaria “un’azione congiunta per prendersi cura della vita e del Creato”, un’azione alla quale possono contribuire gli stessi popoli amazzonici con il loro “stile di vita sobrio e rispettoso della natura e delle persone”. “L’Amazzonia non è più invisibile”, ha concluso il Cardinale Barreto – Bisogna agire insieme attraverso un progetto globale e congiunto”.
I percorsi di azione
Al termine dei lavori, sono stati stabiliti tre percorsi d’azione: il contrasto del Covid-19 e delle sue conseguenze sulle popolazioni indigene; il boicottaggio dei prodotti delle multinazionali e dei sistemi estrattivi; l’istituzione di un gruppo di mobilitazione che determini progetti specifici nei prossimi mesi. “Questa Assemblea – hanno concluso i partecipanti – può dare un forte impulso alla consapevolezza necessaria per difendere una regione del mondo che genera ossigeno per tutti”.
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