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Foto d'archivio. Al centro monsignor Padovese Foto d'archivio. Al centro monsignor Padovese

Turchia, Bizzeti: valorizzare l’eredità di monsignor Padovese

A dieci anni dall’assassinio del vicario apostolico in Anatolia, l’attuale suo successore monsignor Paolo Bizzeti descrive l’impegno a mantenere vivo il suo stile di presenza cristiana in questa realtà che nel frattempo è diventata ancora più composita e sfidante

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Sono passati dieci anni dalla tragica morte a Iskenderun, per mano dell’autista reo confesso, di monsignor Luigi Padovese, cappuccino, che aveva impresso al suo ministero di guida della piccola Chiesa locale l’impronta del dialogo interreligioso e della convivenza pacifica. “E’ una eredità ricca e complessa, quella di Padovese - spiega il gesuita Paolo Bizzeti, attuale vicario apostolico di Anatolia - prima di tutto per la testimonianza di un uomo che a occhi aperti sapeva i rischi che correva: in quegli anni c’era un clima molto difficile in Turchia, ma ha preferito rimanere fedele al mandato di Cristo di testimoniare a tutti l’Evangelo”.

Ascolta l'intervista a Paolo Bizzeti

"La Chiesa di Anatolia è una Chiesa viva" scriveva Padovese 15 anni fa. Quale cammino ulteriore ha fatto negli ultimi anni la Chiesa in Turchia?

R. - Un cammino molto interessante, quello degli ultimi anni, con due novità rispetto ai tempi di monsignor Padovese. La prima è l’arrivo di moltissimi cristiani dall’Iraq, dalla Siria, dall’Iran, dall’Afghanistan. Noi oggi abbiamo delle Chiese cristiane che vedono un aumento vertiginoso del numero dei fedeli per il fatto che queste persone sono scappate e hanno trovato in Turchia un riparo dalla guerra. Naturalmente, questo pone anche tanti problemi perché non abbiamo operatori pastorali di lingua araba, non abbiamo strutture, però è una bella novità perché il numero dei cristiani è più che raddoppiato. La seconda novità è che negli ultimi anni abbiamo soprattutto persone giovani che, grazie anche ad internet, vengono nelle nostre chiese per chiedere informazioni sul cristianesimo, c’è un interesse a conoscere il cristianesimo senza che noi facciamo proselitismo. E alcune di queste persone cominciano anche un cammino di catecumenato. In tutte le nostre parrocchie abbiamo dei catecumeni che a volte vengono dall’agnosticismo, dall’ateismo, qualcuno viene anche dalla pratica islamica, che chiedono di fare un cammino che probabilmente sfocerà nel diventare discepoli di Gesù attraverso il Battesimo. Abbiamo dunque una Chiesa di neofiti, però dobbiamo registrare che l’investimento in operatori pastorali, anche da parte della nostra Chiesa cattolica, è diminuito. Quindi, rispetto agli anni di monsignor Padovese, noi abbiamo circa la metà dei sacerdoti; è diminuito anche il numero delle suore. A fronte di un aumento di necessità pastorali e di interessi verso la nostra Chiesa dobbiamo registrare una diminuzione di operatori pastorali in campo.

 

Oggi esce il libro “Testimone del Buon Pastore”, con testi inediti di monsignor Padovese, curato da Maria Grazia Zambon e con la sua prefazione: ha fatto delle scoperte interessanti su questa figura e come ispirano il suo ministero episcopale in questa terra?

R. - Il ministero episcopale di monsignor Padovese era incentrato sulla Parola di Dio e sulle grandi figure dei Padri della Chiesa, di cui lui era un esperto conoscitore. Le sue omelie e le sue Lettere pastorali si rifanno sempre a queste fonti. Sono decisive per la vita del cristianesimo. Naturalmente anch’io seguo questa impostazione, sia perché sono biblista di formazione, sia perché effettivamente la Turchia è così ricca di testimonianze della Chiesa del primo millennio, che c’è un patrimonio enorme a disposizione della vita cristiana, non soltanto per la Turchia ma per tutta la Chiesa. Non a caso monsignor Padovese aveva avuto questa bella intuizione, di dire che “la Turchia è la Terra Santa della Chiesa”.

Il Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani compie in questi giorni sessant’anni. Come leggere questo altro anniversario alla luce di quella 'sinfonia di voci' di cui parlava Padovese a proposito della terra di Paolo e dello spirito ecumenico che lì si respira?

R. - Sì, questa è stata un’altra delle piacevoli scoperte che ho verificato nella prassi della vita ordinaria delle Chiese. Io conosco bene la Turchia da decenni, ma ho constatato, vivendoci, che c’è un mutuo rispetto, una mutua fiducia tra le Chiese cristiane. Quando ci sono delle importanti celebrazioni, delle ordinazioni presbiterali o episcopali o degli anniversari importanti, sempre c’è una rappresentanza significativa delle altre Chiese cristiane. Qui c’è un ecumenismo di fatto a livello di vertici ma poi c’è anche un ecumenismo di fatto a livello di base, ancor più interessante. Abbiamo famiglie dove ci sono appartenenze a Chiese diverse: ortodossi, siriaci, cattolici… e sono proprio queste famiglie a dare testimonianza che si può essere uniti nella diversità, che è la grande sfida dell’ecumenismo. Forse un tempo lo si pensava come una omogeneizzazione in modo che tutti dicessero e facessero le stesse cose… oggi ci rendiamo conto, invece, che è molto più fecondo perseguire questa linea dell’unità conservando le tradizioni liturgiche, teologiche delle varie Chiese.

In Turchia è scattato l'inizio della fase 3 della pandemia. Quale è la situazione nel Paese e in particolare in Anatolia?

R. - Certamente questa pandemia è una grossa tragedia anche per tutte le conseguenze che comporta, per gli effetti collaterali sulla salute psicologica, per esempio, sui bambini, per i danni all’economia. Devo dire che in Turchia il numero dei contagiati è alto, tuttavia il numero dei morti è stato molto limitato. Questo anche grazie al fatto che il governo ha preso misure tempestive e molto radicali. Io, per esempio, che ho oltre 65 anni, sono ormai ottanta giorni che non posso uscire di casa. Misure drastiche a cui la popolazione ha risposto con senso civico di obbedienza e che sicuramente sono tra i fattori che hanno limitato grandemente il numero dei decessi. Adesso vediamo cosa succederà. Per quanto riguarda l’Anatolia, è la regione della Turchia meglio messa, sia per l’altitudine che per i grandi spazi, quindi possiamo dire che qui va abbastanza bene.

In questo contesto, pur con la ragionevole prudenza dovuta alla contingenza sanitaria mondiale, potrebbe essere bello venire a conoscere da vicino la vostra realtà ecclesiale, culturale e sociale…

R. - Direi senz’altro di sì. Per esempio, noi del vicariato abbiamo organizzato un corso di introduzione all’iconografia per donne italiane che abbiamo voluto confermare per fine agosto, dal 19 al 29, anche perché negli anni scorsi abbiamo visto che è stata una iniziativa apprezzata e che potremo ripetere in sicurezza. 

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03 giugno 2020, 13:55