Caritas Internationalis: non smettere di aiutare i Paesi poveri durante la pandemia
Michele Raviart – Città del Vaticano
Per Caritas Internationalis, l’organismo che coordina le Caritas di tutto il mondo, le conseguenze economiche della pandemia di coronavirus potrebbero essere peggiori di quelle legate alla malattia. 230 milioni di persone potrebbero soffrire la fame, soprattutto nei Paesi del Sud del mondo. Nel comunicato diffuso ieri si chiedono azioni coraggiose alla comunità internazionale e c’è preoccupazione sulla tenuta del sistema degli aiuti internazionali, come spiega a Pope Marta Petrosillo, direttore delle comunicazioni di Caritas Internationalis.
R. - Ciò che Caritas Internationalis teme è che al momento possa esserci una diversa disposizione degli aiuti internazionali da parte dei Paesi donatori per esigenze interne ai loro confini nazionali, mentre oggi sempre di più c'è bisogno che questi aiuti internazionali continuino a venire allocati. Siamo tutti consapevoli che questa pandemia ha toccato proprio nel vivo i Paesi europei e gli Stati Uniti, che sono i principali donatori, però non dobbiamo perdere di vista il fatto che nel Sud del mondo tantissimi Paesi in via di sviluppo - anche se parliamo di un numero di morti e di casi inferiore - c'è la possibilità di conseguenze ben più drammatiche. Nella Repubblica Centrafricana, ad esempio, vivono 5 milioni di abitanti e ci sono tre respiratori e sono tutti nella capitale. È impossibile per le strutture mediche locali rispondere alle esigenze. Al tempo stesso bisogna capire che cosa significa il lockdown in certi Paesi perché, se ad esempio in Italia ci sono delle gravi ripercussioni anche in campo economico, immaginiamoci una persona che in Nigeria, piuttosto che in Pakistan vive alla giornata, magari un lavoratore in qualche mercato. Tanti Paesi sono in lockdown già da fine marzo ed è più che raddoppiato il numero delle persone che rischiano di morire di fame.
Tra gli interventi che Caritas Internationalis richiede alla comunità internazionale c’è l’eliminazione delle sanzioni in Siria, Iran, Libia, Venezuela…
R. - In un momento come questo che vede il mondo intero affrontare questa tragica pandemia non possono sussistere delle misure imposte dall’uomo. Il Santo Padre stesso ha invitato a rimuovere le sanzioni perché si ripercuotono soprattutto sulla popolazione e impediscono l’importazione di medicinali, attrezzature mediche e anche la fornitura di beni di prima necessità alla popolazione. In questo momento dobbiamo essere uniti nella solidarietà e non possono esistere questo tipo di misure che impediscono l’efficacia anche degli aiuti alle popolazioni.
Un altro aspetto è quello di considerare le fasce di popolazione più vulnerabili e si parla specificatamente di migranti, di rifugiati, di sfollati interni. Qual è la loro situazione?
R. - È una situazione ancora più drammatica soprattutto per le difficili condizioni in cui vivono. Immaginiamoci i campi profughi e i campi di sfollati e quanto è difficile tenere il distanziamento sociale. Per esempio gli sfollati interni, come è stato fatto giustamente notare dalla sezione Migranti del Dicastero per il servizio dello Sviluppo umano integrale questa settimana, persone che in molti casi non usufruiscono di aiuti, non hanno a loro disposizione kit di igiene personale, non hanno sapone e non hanno disinfettante. La loro situazione è veramente ancora più difficile e sono maggiormente esposti rispetto alla media della popolazione .
Da parte della Caritas Internazionalis c'è anche l'esplicita richiesta di fare affidamento sulle organizzazioni di ispirazione religiosa. Che cosa possono dare in più in questa fase di crisi?
R. - Le organizzazioni di ispirazione religiosa, come anche le Ong, spesso non hanno le stesse sovvenzioni di altri attori, perché gli aiuti vengono spesso distribuiti anche tramite i governi e gli Stati, ma soprattutto il loro valore aggiunto - pensiamo alla Caritas - è quello di raggiungere in modo capillare la popolazione in tutto il mondo. Caritas fin dall’inizio di questa pandemia è stata in prima linea nella risposta Covid-19 sia nell'aiuto immediato, ma soprattutto nella prevenzione. Specie nel Sud del mondo dove è stato fatto anche un'enorme lavoro di sensibilizzazione e di aumento della consapevolezza della popolazione che molto spesso era totalmente impreparata o anche disinformata sul tema. Al tempo stesso è stata fatta anche un’azione di distribuzione di kit per l’igiene personale, per poter permettere alle persone di difendersi, ma anche mascherine. Il lavoro che continuiamo a fare, e che è molto importante, è anche quello di rispondere alle necessità purtroppo già molto evidenti, ad esempio per quanto riguarda la sicurezza alimentare, perché in alcuni Paesi - noi abbiamo voci sul campo che ce lo dicono, il Covid-19 è purtroppo percepito come il male minore. Ci sono persone che muoiono di fame e che non rispettano il lockdown, piuttosto che le distanze sociali, perché ci dicono: “preferiamo morire di Covid-19 che morire di fameâ€. Così come siamo stati uniti nella paura, dobbiamo essere uniti nella solidarietà. Fin quando anche un solo Paese sarà colpito dal Covid-19 o dalle conseguenze economiche che il virus porterà, non potremo ritenerci al sicuro.
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