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 Siria, parrocchia di Aleppo Siria, parrocchia di Aleppo  

Dalla Siria l'appello a togliere le sanzioni, il Paese deve ripartire

Padre Firas Lutfi, della Custodia di Terrasanta, definisce la situazione del Paese “drammatica”. Dopo 9 anni di guerra, il coronavirus aumenta povertà e mancanza di cibo

Luca Collodi – Città del Vaticano

Un appello urgente al Segretario generale delle Nazioni Unite e alle Istituzioni europee, affinché “si superi, almeno temporaneamente, l’embargo” che sta schiacciando il popolo siriano. A lanciarlo è l’Associazione internazionale “New Humanity”, Ong legata al Movimento dei Focolari e attiva in oltre 100 Paesi in tutto il mondo. “Le notizie dell’infezione della pandemia da Coronavirus si inseguono, mettendo in evidenza che siamo un’unica razza, con uno stesso patrimonio genetico, uno stesso modo di ammalarci, un’unica sola umanità”, spiega New Humanity. “Di fronte alla malattia non siamo però tutti uguali: i popoli nella miseria o dentro la tragedia della guerra partono con un grave handicap. Tra i tanti, il popolo siriano, ancora in guerra, che oggi affronta l’emergenza schiacciato da un pesantissimo embargo totale, sancito dagli Usa e dall’Europa.

Ascolta l'intervista a padre Lutfi

“Attualmente in Siria la situazione è davvero difficile, direi drammatica”, spiega padre Firas Lutfi, Ministro della Regione francescana di San Paolo della Custodia di Terrasanta. “Dopo 9 anni di guerra, pensiamo alla situazione psicologica, finanziaria e sociale del Paese, completamente distrutto e paralizzato. Ora si aggiunge la goccia che fa traboccare il vaso: il Coronavirus. La gente deve stare a casa per difendersi dal virus ma ha bisogno del mangiare, del lavoro, di una vita normale. Una realtà che rende davvero difficile la vita. Ed era una vita che aveva appena iniziato a guardare avanti con fiducia, ma che deve fare ancora un passo indietro economico psicologico e sociale”.

Covid ad Idlib

“Abbiamo sentito, - spiega il padre francescano -  lo facciamo tutti i giorni, quanto è difficile stare in mezzo a una zona completamente controllata dai jihadisti. Eppure ad Idlib ci sono quasi 300 famiglie cristiane. Sono curate pastoralmente e aiutate da due frati francescani che sono davvero i nostri eroi della fede, testimoni del coraggio e della pazienza”.

Manca il cibo

“C’è carenza di cibo, di bevande e di tutto il resto. Allora come si fa a convincere un padre di famiglia che lavora in modo giornaliero per sfamare la sua famiglia e i suoi cari,  come puoi convincerlo a stare in casa? Ho sentito un papà che mi dice di preferire la morte per coronavirus che quella per la fame. Vedere i miei figli gridare per la fame davanti ai miei occhi è davvero complicato. Il coronavirus ha quindi aumentato il sacrificio delle famiglie che devono stare rinchiuse in casa forzatamente senza però altri mezzi per vivere oppure per sopravvivere. Così vivere diventa insopportabile, dopo anni di sofferenza per la guerra e di lunghi e grandi sacrifici che hanno fatto le famiglie fino alla  liberazione del Paese. La gente infatti iniziava ad uscire, viveva e i bambini finalmente potevano giocare”.

No alle sanzioni

 “Ora torna un'altra guerra, diciamo, per questo virus invisibile. Ripeto - prosegue padre Lutfi -  qui la situazione è davvero drammatica e  richiede un'attenzione particolare. Papa Francesco ha detto negli ultimi tempi di togliere le sazioni. Sanzioni che pesano non tanto sul governo siriano ma sulla popolazione. Ecco, questo è il problema, oggi ampliato dal Covid. Il problema è economico, finanziario, di come trovare da mangiare e bere. Tocca la vita e il minimo indispensabile della dignità umana.  Speriamo che il richiamo del Papa, tocchi le coscienze di chi ha il potere sul piano internazionale e politico. Credo che il coronavirus abbia tuttavia una cosa su cui riflettere. Il male, il dolore è unico. Siamo tutti  una famiglia. Come un italiano,  un europeo è lo stesso male che ora paghiamo anche noi. Siamo soci nel dolore, ma dobbiamo essere anche soci nella speranza”.

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14 aprile 2020, 14:17