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Bergamo, una città deserta Bergamo, una città deserta

Il vescovo di Bergamo: nel dramma ci sentiamo più vicini

La città lombarda è una delle più colpite in Italia dal coronavirus. La testimonianza di monsignor Francesco Beschi: le vittime aumentano, ma nella tragedia crescono la condivisione e la vicinanza. Grande la generosità degli operatori sanitari. Le 400 parrocchie della Diocesi sono impegnate a portare la speranza

Francesca Sabatinelli - Città del Vaticano

"A me sembra che in questo momento ci sia un grandissimo bisogno di vicinanza. Ma questa vicinanza non basta". Lo afferma monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, uno dei centri più colpiti dal virus Covid-19. Nei giorni scorsi, quando ancora non si aveva la percezione della gravità del morbo, prosegue il prelato, si continuava a "vivere pensando a un po' più a se stessi". Adesso ci sentiamo più vicini:

Ascolta l'intervista a mons. Beschi

R.-Chi è malato attende innanzitutto la vicinanza di chi lo può curare e sto vedendo una generosità enorme da parte di medici, infermieri, di coloro che stanno lavorando nei nostri ospedali, nell’ospedale più grande che è intitolato peraltro a Papa Giovanni. Adesso siamo un po' lontani gli uni dagli altri, perché ciascuno deve stare il più possibile nella propria casa, ma ci sentiamo molto più vicini e uno dei segni di questa vicinanza è rappresentato, lo dico con animo profondamente riconoscente, e anche con umiltà, dalle nostre parrocchie.  La diocesi conta 400 parrocchie circa e veramente sto vedendo manifestazioni le più disparate, fantasiose, nuove, per promuovere questa vicinanza. E tutto questo mi sembra vada nella direzione dell’avvertenza che Dio non ci abbandona. Questa vicinanza, fatta da quello che ho un po' raccontato, va in direzione della consapevolezza che Dio, che pure sta nella prova con noi, non ci sta abbandonando.

La vicinanza a Dio è attraverso la confessione, attraverso la comunione, attraverso la benedizione, come si può supplire a questa mancanza, a questa assenza, all'impossibilità di poterlo fare?

R.- Sì, con alcuni vescovi della Lombardia abbiamo visto emergere questa esigenza, ed è emersa soprattutto qui, a partire da un'esperienza molto concreta e anche molto molto dolorosa. Qui, le morti veramente si moltiplicano e per adesso non solo non diminuiscono, ma crescono. Questa situazione non riguarda più soltanto i malati, che speriamo possano superare la loro condizione, ma coloro che muoiono e sono tanti. Veramente non si sa più dove metterli. Vengono utilizzate alcune chiese. Tutto questo è accompagnato da sentimenti molto profondi. Mi ha telefonato un sacerdote che ha perso il suo papà, lui è in quarantena, la mamma è in quarantena da sola in un'altra casa. I suoi fratelli sono in quarantena, non si fa alcun funerale, verrà portato al cimitero e verrà sepolto, senza che nessuno possa partecipare a questo momento della pietà umana e cristiana che si rivela adesso così importante perché viene a mancare.

“In questo momento che viviamo l'isolamento imposto, noi ci rendiamo conto di quanto sia necessaria la condivisione. Io spero che questo rimanga”

Alla luce di questi sentimenti, del fatto che molte persone vedono il loro caro partire e poi, nel momento in cui si entra in una corsia di ospedale, non riescono più a poterlo raggiungere, si avverte anche il fatto di dire: ma siamo proprio soli, tutti sono soli? Allora ci siamo rifatti a quello che la tradizione, la dottrina cristiana ci dice, e che con parole più precise viene chiamato votum sacramenti ed è 'il desiderio': io desidero il perdono del Signore ma non sono nella condizione di poterlo ricevere in questo momento, nemmeno i fedeli che stanno bene, perché non possiamo più frequentarci, quindi, io mi metto davanti a Dio con un vero pentimento, con un atto di fiducia e di amore verso di Lui, confesso a Lui il mio peccato e chiedo il perdono con le preghiere che ci sono più familiari e più conosciute. La Chiesa dice che avendo il proposito, poi, di confessarsi sacramentalmente appena possibile, io ricevo il perdono di Dio. Ecco, io volevo ricordare questa possibilità ai fedeli perché gran parte di loro, anche quelli che lo desiderano, possono percorrere questa strada. Noi non possiamo nemmeno più dare l’unzione agli infermi, i sacerdoti nelle parrocchie cercano di avvicinare i malati ma c'è questa preoccupazione di non portare il virus insieme con il Signore Gesù, quindi c'è anche un po' di prudenza. A questo punto abbiamo detto: ma perché un battezzato non può compiere un segno cristiano su coloro che sono malati? Cominciando da quelli che sono in famiglia e quindi i figli, i nipoti benedicono i propri nonni, i propri genitori. Compiono così un segno di fede per loro. La stessa cosa l'abbiamo suggerita, chiesta e proposta agli operatori sanitari che operano sia nelle case di riposo, dove pure la situazione è molto molto delicata, sia nelle corsie degli ospedali.

 Come pensa che l'umanità uscirà da tutto questo? Quale sentimento si fortificherà, quale aspetto dell'animo umano uscirà vincente da questa prova ?

R.- Mi sembra che in questo momento cresca una condivisione non superficiale. Può essere che quando sarà vinta questa battaglia si ritorni come prima, può essere, si tratta di fare una scelta. Posso dire che in questo momento molte persone avvertono e intuiscono quello che avevamo dimenticato: noi ci siamo condannati in questi anni a una specie di autoisolamento, ognuno pensava per sé. In questo momento che viviamo l'isolamento imposto, noi ci rendiamo conto di quanto sia necessaria la condivisione. Io spero che questo rimanga.

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14 marzo 2020, 18:40