Caritas di Roma: un convegno per ripercorrere una storia cominciata 40 anni fa
Adriana Masotti - Città del Vaticano
La mensa di Colle Oppio, la Cittadella della carità in via Casilina Vecchia, il Centro ascolto per stranieri di via delle Zoccolette nel cuore storico della capitale, l’Emporio della solidarietà, l'ambulatorio odontoiatrico, la casa di accoglienza per senza dimora e tanto altro. In 40 anni di attività sono tante le iniziative di sostegno concreto agli ultimi sorte a Roma per iniziativa della Caritas.
Il Convegno: "Fate questo in memoria di me"
L'appuntamento di oggi vuol ripercorrere le tappe di questo cammino. Ad aprire i lavori saranno il saluto del cardinale Angelo De Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma e l’intervento dello storico Alberto Melloni. Seguirà una tavola rotonda con la partecipazione di don Benoni Ambarus, direttore della Caritas diocesana e di monsignor Enrico Feroci, che lo ha preceduto alla direzione, e le testimonianze di operatori e volontari. “Fate questo in memoria di meâ€, il tema dell’incontro, nel corso del quale verrà presentato il documentario che porta lo stesso titolo, dedicato proprio alla storia della Caritas di Roma, e realizzato dalla giornalista Isabella Di Chio del Tgr Lazio.
Geraci: la Caritas, cuore pulsante di Roma
A fondare la Caritas di Roma, don Luigi Di Liegro, che ne è stato anche il primo direttore, scomparso il 12 ottobre 1997. Le celebrazioni per l’anniversario di fondazione hanno preso il via il 10 ottobre scorso con la Messa presieduta dal cardinale De Donatis nella Basilica Lateranense. Il 29 novembre la visita di Papa Francesco alla Cittadella della carità con la consegna per gli anni futuri sintetizzata in una frase forte: “Essere pazzi di amore, pazzi di condividere la propria vulnerabilità con chi è vulnerabileâ€. E questi 40 anni sono stati un susseguirsi di incontri per gli operatori e i volontari con la povertà e l'emarginazione presenti in città: dalle baracche nelle periferie, ai tossicodipendenti, dai senza dimora ai malati di AIDS, agli immigrati, come conferma ai nostri microfoni il dottor Salvatore Geraci, responsabile dell'area sanitaria della Caritas romana che ripercorre per noi il cammino intrapreso:
R. - La Caritas è stata il cuore pulsante di Roma, in tutti questi anni è stata accanto alle persone più povere, più semplici, più deboli, più indifese e grazie ad un'intuizione che nasce dal Concilio Vaticano II - la Caritas italiana nasce proprio da quell’evento - nel 1972 si struttura, e una delle prime Caritas locali è stata quella di Roma. Era l’anno 1979-1980 quando diedero a Luigi Di Liegro questo importante incarico e da allora don Luigi prima, e poi gli altri direttori, hanno sempre individuato azioni ed interventi nell'incontro con le persone, con le persone più fragili, ma direi con tutte le persone della città, perché i servizi della Carità sono connotati almeno da due anime. L’anima di coloro che in qualche modo ricevono, perché hanno dei bisogni, e l'anima di coloro che in qualche modo danno, perché hanno delle possibilità, ma direi perché anch’essi hanno dei bisogni. Ecco questo incontro costante tra dare e avere, e bisogni reciproci, ha fatto della Caritas una presenza significativa nella nostra città, con dei segni particolari. Lei ha citato i centri di ascolto, le case per l'AIDS, l’ambulatorio dove io lavoro tutt’ora, gli empori, insomma tante cose legate chiaramente ai tempi in cui questi atti di carità sono sorti e che hanno avuto anche un ruolo in alcuni momenti profetici, in alcuni momenti di denuncia, in alcuni momenti semplicemente d' impegno genuino caritatevole di vicinanza a Gesù nei poveri.
Un momento forte, quasi di rottura o comunque di stimolo per la città è stato quando don Di Liegro ha iniziato a occuparsi dei malati di AIDS. Io lo ricordo come un momento molto particolare …
R. - Sì, lo ricordo anch’io. Io ero un giovane medico, stavo finendo il servizio civile come obiettore di coscienza al servizio militare e don Luigi iniziò a dire ad alcuni di noi di cominciare ad interessarci di questo tema emergente che era appunto l’AIDS. E ricordo che insieme a lui andai a fare un sopralluogo in una di quelle che diventerà una delle case per gli ammalati di AIDS nel centro storico di Roma - la casa più famosa è stata Villa Glori, la prima che è stata istituita - e lui aveva chiaramente questa intuizione cioè che bisognava dare a queste persone la massima dignità e accoglienza possibile e bisognava dare anche la bellezza. Forse è stato uno dei primi che ha accostato al termine della povertà, quello della dignità e soprattutto anche quello della bellezza, e quindi avere questi spazi - e Villa Glori è un posto veramente bello - aveva un significato ancora più importante. E dovette affrontare anche il quartiere, il quartiere che reagì e reagì anche malamente, almeno in parte, perché poi a poco a poco è diventato invece uno degli alleati più importanti della Caritas e ancora oggi è così.
Don Di Liegro era certamente uno che si sporcava le mani e così poi avete continuato a fare, ma oggi con quali povertà, in senso ampio, voi vi confrontate maggiormente?
R. - Ci sono tante povertà, dai giovani che rimangono chiusi in casa - quindi non sono povertà materiali in senso stretto, sono povertà di relazioni - alle persone anziane sempre più isolate, ai divorziati che di fronte a questa nuova situazione entrano in difficoltà, a tutte le persone che cadono in questa spirale devastante che è il gioco d'azzardo che produce disagio, povertà, tensioni. Poi ci sono quelle tradizionali certamente: quella dei senza dimora in una città che fatica a fare posto a queste persone o gli immigrati. Ogni giorno si scoprono povertà vecchie o nuove. A me non piace nemmeno più chiamarle con questi termini perché la povertà è una mancanza a cui bisogna in qualche modo far fronte. A me piace di più parlare di disuguaglianze perché nel parlare di disuguaglianze c’è un afflato etico. La disuguaglianza è una differenza evitabile, non necessaria e quindi ingiusta. E la grande novità della Caritas dal 1979 ad oggi, è che ha sempre unito il tema della carità al tema della giustizia.
Il 29 novembre 2019 c'è stata la visita di Papa Francesco alla cittadella della Carità e la sua consegna per gli anni futuri. Ha usato parole forti: essere pazzi, pazzi di condividere la propria vulnerabilità, ha parlato di una pazzia d'amore. Ecco, che cosa è stato per voi quel momento?
R. - Sì è stato un momento estremamente emozionante. Il Papa era stanco, probabilmente noi ce l'aspettavamo un po' distratto, invece no, è entrato a pieno nell'ambiente, ha fatto una serie di gesti fuori dal programma, ha voluto stringere le mani ai volontari, alle persone che erano presenti e poi ha fatto questo discorso che lei ha citato. Personalmente a me ha richiamato i primi tempi quando qualcuno definiva don Luigi un po' pazzo, perché faceva delle cose veramente al di sopra delle righe. E questo richiamo ad essere un po’ sopra le righe, a non fermarsi all'apparente, a dare qualcosa di più rispetto a quello che ognuno di noi fa come persona, come professionista, come volontario nella Caritas, mi è sembrata la cosa più bella che potesse regalarci.
La Caritas ha tra i suoi compiti anche quello educativo, all'interno della comunità ecclesiale, educare e sensibilizzare appunto alla carità. Quanto si è potuto realizzare in questo senso in questi anni nella diocesi di Roma?
R. - E’ forse la funzione principale della Caritas quella pedagogica, quella dell’educare e dello stare vicino, un po’ nell'ottica di quello che diceva Papa Paolo VI che è stato poi l’istitutore della Caritas stessa: le persone di oggi hanno più bisogno di testimoni che non di maestri. Ecco, la Caritas vuol essere una testimonianza nella Chiesa italiana, nella Chiesa di Roma con semplicità, con umiltà, una testimonianza di presenza, di attenzione e di impegno, di mani che si sporcano ma che possono dare delle carezze e possono aiutare veramente tutti.
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