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Monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli Monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli 

E’ morto monsignor Martinelli, vicario apostolico emerito di Tripoli

Aveva 77 anni. Ha dedicato il suo apostolato prima come francescano e poi come vicario apostolico, al servizio della comunità ecclesiale di Tripoli che non ha mai abbandonato neppure durante la sanguinosa guerra civile in Libia. Ai microfoni della Radio Vaticana ha raccontato la vita della chiesa libica e la difficile situazione del Paese africano

Roberto Piermarini - Città del Vaticano

Ieri pomeriggio si è spento mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico emerito di Tripoli, in Libia. Da alcuni anni era ricoverato nel Centro di cura per anziani dei Frati Minori di Saccolongo in provincia di Padova. Il presule era nato il 5 febbraio 1942 ed era stato ordinato sacerdote il 28 luglio 1967. Aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il 4 ottobre 1985. Nel febbraio del 2017 aveva rinunciato al suo incarico di vicario apostolico di Tripoli. Le esequie avranno luogo giovedì 2 gennaio 2020 alle ore 10.00 a Pozzo dio San Giovanni Lupatoto in provincia di Verona.

Spesso mons. Martinelli era intervenuto ai microfoni della Radio Vaticana per rispondere alle domande sulla realtà della chiesa in Libia e sulla situazione nel Paese africano. Questa una sua intervista rilasciata nel febbraio del 2015 nel contesto della guerra cìvile in Libia e con l’avanzata degli jihadisti del sedicente stato islamico.

Il vicario apostolico di Tripoli: resto qui, non lascio i cristiani

Resterà in Libia anche se la situazione appare sempre più difficile, questa è la sua missione: è la testimonianza di mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, francescano. Ascoltiamolo al microfono di Sergio Centofanti:

Ascolta l'intervista a mons. Martinelli

R. – Siamo pronti a testimoniare quello che siamo e quello che facciamo.

Quindi, lei rimane a Tripoli …

R. – Devo rimanere! Come lascio i cristiani senza nessuno?

C’è paura tra i cristiani?

R. – Certo che un po’ di paura c’è. C’è un gruppetto di filippini, siamo qui, proprio testimoni di quello che Gesù ci dice di fare. E basta.

Lei personalmente ha paura?

R. – Ma … non lo so. Non credo. Se non ci fosse la fede, non saremmo qui.

I jihadisti sono già a Tripoli …

R. – Sì, sono a Tripoli, certo.

Voi potete uscire liberamente?

R. – Possiamo uscire, certo. Magari un momento o l’altro ci prendono e dicono: “Tu sei contro l’islam” … e basta. Siamo in una situazione di ambiguità. Ecco, questo è per mancanza di dialogo: c’è mancato il dialogo per tanto tempo, adesso bisogna recuperare il tempo.

Che cosa si può fare di fronte a questa situazione?

R. – Davanti a questa situazione, è tutto da rifare. Tutto da rifare. Tutto da rifare, mio caro: tutto da rifare!

Lancia un appello?

R. – La comunità internazionale dovrebbe essere capace di lanciare un dialogo con questo Paese che si è diviso e fa fatica a ritrovare innanzitutto l’unità interna. Cercare di essere strumenti di unità, innanzitutto per il Paese in se stesso e poi per il resto. Abbiamo pensato a prendere il petrolio, abbiamo pensato ai nostri interessi e ci siamo un po’ dimenticati del dialogo umano, sincero, tra le parti.

Lei è francescano: che messaggio ci dà San Francesco in questa situazione?

R. – Eh, Francesco dice: “Chi vuole andare tra i saraceni deve lasciare tutto e deve andare”. Noi siamo qui, in nome di Dio e in nome di San Francesco, con il desiderio di essere testimoni di Gesù nello stile di Francesco.

Si può tornare indietro?

R. – Tornare indietro, come?

A una situazione di pace…

R. – Basta volerlo, si può: come no?! E’ un po’ fanciullesco quello che dico, però se uno dice a un libico: “Senti, forse abbiamo sbagliato: che cosa si può fare per cambiare un po’ la situazione?”. Cercare di aiutarli a riflettere, però non con la forza, ma con il dialogo: penso che sia una cosa molto importante, questa. Penso.

Come giudica il fatto che ci sono tanti europei di origine araba e islamica che si stanno arruolando nelle file dei jihadisti?

R. – Questo, io non lo so … Sicuramente non sono contenti del loro contesto sociale … Io non so rispondere a questa domanda.

Vede un vuoto nella cultura occidentale?

R. – Un vuoto … certo che c’è, il vuoto. Un vuoto di dialogo, un vuoto di impegno a incontrare l’altro, preoccupandosi soltanto degli interessi e meno delle persone e dei valori.

Quindi, dietro a tutto questo c’è anche l’interesse per il petrolio …

R. – Ma, è tutta una cosa … tanti sono i fattori che hanno contribuito a questa spaccatura tra le diverse civiltà. Cosa poter fare? Ma, se qualcuno ha il coraggio, si faccia piccolo, si faccia semplice e abbia il coraggio di incontrare questa gente con la volontà di capirli, innanzitutto; volontà di aiutarli a capire quello che vogliono.

Qual è la sua speranza?

R. – Io ho la speranza che se c’è qualcuno che ha voglia di spendersi per questo popolo, che si faccia avanti: fate in modo che possiamo ritornare a una vita normale, a un dialogo fraterno tra civiltà. Non è facile, questo, adesso: non è facile. Però, penso che sia l’unica strada per rendere possibile questo incontro.

La Libia adesso è nel caos, c’è tanta sofferenza tra i civili …

R. – E’ chiaro, è chiaro. Ma questo non è soltanto per i cristiani, ma anche per i libici stessi che ci amano, che ci vogliono bene, che fanno di tutto perché possa ritrovarsi un rapporto più normale. Voglio dire: adesso ci ritroviamo in questa situazione: penso che sia importante capire che cosa possiamo fare con questa gente.

Anche i Paesi arabi: che cosa possono fare i Paesi islamici?

R. – Bravo! Sì, proprio i Paesi arabi, musulmani potrebbero anche loro – certo – fare in modo di ritrovare una certa serenità.

La gente si chiede: “Chi c’è dietro a questi jihadisti? Chi dà loro i soldi?”

R. – Ehhh … c’è il petrolio! I pozzi di petrolio della Libia, quelli del Golfo Persico, eccetera …

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31 dicembre 2019, 12:00